E’ una fredda domenica di febbraio del 1977.
All’uscita del casello dell’A4 di Dalmine si consuma una tragedia destinata a segnare per la vita di coloro che le sopravvivono.
In località Cavenago, direzione Venezia, viene notata una Fiat 132 di colore scuro che zigzaga tra vetture in transito. Marcia a forte velocità, a bordo ci sono tre individui. Nessuno lo sa ancora, ma sono criminali in missione: obbiettivo un sequestro di persona in terra bergamasca.
All’uscita del casello di Dalmine, la Polizia stradale istituisce un posto di blocco per intercettare la vettura. Manca una manciata di secondi alle dieci quando la pattuglia composta dal Brigadiere della P.S. Luigi D’Andrea e dalla Guardia di P.S. Renato Barborini blocca il veicolo segnalato. Il capopattuglia D’Andrea si avvicina con circospezione al finestrino del guidatore, imbracciando il moschetto automatico. Chiede la patente e il conducente replica di averla nella tasca dei pantaloni. Ottiene perciò ottiene il permesso di scendere per recuperarla. Il guidatore fruga nella tasca e porge in modo provocatorio un blocchetto degli assegni. Il gesto non è gradito e spiega di essersi sbagliato poi consegna la patente di guida. Il Brigadiere gli intima di attendere sul posto e indietreggia verso il collega. Ha appena raggiunto l’Alfa della stradale quando si scatena l’inferno. Scoppia una cruenta sparatoria sopra quel preciso fazzoletto d’asfalto dell’A4. Nel conflitto a fuoco restano a terra, privi di vita, i due poliziotti e uno dei passeggeri della Fiat 132, poi identificato per il bandito Antonio Furiato.
Gli altri occupanti della vettura riescono a guadagnare la fuga, in direzione Bergamo, e poco dopo si appropriano di una Fiat 128 ferma presso una piazzola nei pressi di Orio al Serio, di proprietà di una famiglia in gita domenicale che si era fermata per una sosta.
Le indagini individuano subito negli appartenenti alla famigerata “banda Vallanzasca” gli autori del delitto ma servono anni di inchieste, dibattiti e udienze per giungere alla condanna giudiziaria degli stessi. È l’ergastolo la pena comminata a Renato Vallanzasca, ferito al gluteo nelle circostanze della sparatoria e inchiodato da prove divenute gradualmente schiaccianti nel corso degli anni. Un colpevole dapprima presunto, autoproclamato, accertato e infine volutamente mediatico. A seconda degli interessi del momento, in sfregio ad ogni verità giudiziaria.
Fin qui la storia, ma sono molte altre le verità, mai narrate e mai svelate. Presto le potrete trovare nel mio prossimo libro. Per cercare di distinguere gli eroi indivisa da quelli mediatici.
A presto, dunque, per riprendere il filo del discorso.
MaLo