127 mila euro di soldi pubblici è costato il mausoleo dedicato dal comune di Affile al macellaio e criminale di guerra Rodolfo Graziani ma questo ennesimo sperpero del denaro di tutti è l'aspetto meno grave di uno scempio in cui, come meritoriamente ci informa e denuncia
Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, viene commemorato, in un Paese in cui ancora vige il reato di apologia del fascismo, colui che fu secondo lo storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano».
Succede tutto in un silenzio assordante e nell'indifferenza generale, sempre per citare Gian Antonio Stella: evidentemente la memoria storica non fa parte del DNA di questa Italia e commemorare un gerarca fascista è da considerarsi meno grave che pasteggiare ad ostriche e champagne con i soldi del finanziamento pubblico ai partiti.
Da
Wikipedia:
L'
apologia del fascismo è un reato previsto dalla legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente "Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione"), anche detta
Legge Scelba, che all'art. 4 sancisce il reato commesso da chiunque «faccia propaganda per la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista»,
oppure da chiunque «pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o
metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche».
E' vietato perciò la ricostruzione del PNF e del Partito dei
Nazionalsocialisti (ovvero quello Nazista). Ogni tipo di apologia è
denunciabile con un arresto dai 18 mesi a 4 anni.
Per la biografia di Rodolfo Graziani si veda sempre su
Wikipedia.
E qui riporto integralmente l'articolo di
Gian Antonio Stella da
Corriere.it:
La vergogna del monumento ad Affile per l’uomo che deportò nei lager centomila libici
Quel mausoleo alla crudeltà
che non fa indignare l’Italia
Il fascista Graziani celebrato con i soldi della Regione Lazio
Il
mausoleo costruito per Rodolfo Graziani ad Affile, in provincia di
Roma, sul quale dominano le scritte 'Patria' e 'Onore', capisaldi del
fascismo.
«Mai dormito tanto tranquillamente », scrisse Rodolfo
Graziani in risposta a chi gli chiedeva se non avesse gli incubi dopo le
mattanze che aveva ordinato, come quella di tutti i preti e i diaconi
cristiani etiopi di Debra Libanos, fatti assassinare e sgozzare dalle
truppe islamiche in divisa italiana. Dormono tranquilli anche quelli che
hanno speso soldi pubblici per erigere in Ciociaria un sacrario a quel
macellaio? Se è così non conoscono la storia.
Rimuovere il ricordo di un crimine, ha scritto Henry Bernard
Levy, vuol dire commetterlo di nuovo: infatti il negazionismo «è, nel
senso stretto, lo stadio supremo del genocidio». Ha ragione. È una
vergogna che il comune di Affile, dalle parti di Subiaco, abbia
costruito un mausoleo per celebrare la memoria di quello che, secondo lo
storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, fu «il più
sanguinario assassino del colonialismo italiano». Ed è incredibile che
la cosa abbia sollevato scandalizzate reazioni internazionali, con
articoli sul
New York Times o servizi della
Bbc,ma non sia
riuscita a sollevare un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica
nostrana. Segno che troppi italiani ignorano o continuano a rimuovere le
nostre pesanti responsabilità coloniali.
Francesco Storace è arrivato a dettare all’
Ansa una
notizia intitolata «Non infangare Graziani» e a sostenere che «nel
processo che gli fu intentato nel 1948 fu riconosciuto colpevole e
condannato a soli due anni di reclusione per la semplice adesione alla
Rsi». Falso. Il dizionario biografico Treccani spiega che il 2 maggio
1950 il maresciallo fu condannato a 19 anni di carcere e fu grazie ad
una serie di condoni che ne scontò, vergognosamente, molti di meno.
È vero però che anche quella sentenza centrata sul
«collaborazionismo militare col tedesco», era figlia di una cultura che
ruotava purtroppo intorno al nostro ombelico (il fascismo, il Duce,
Salò...) senza curarsi dei nostri misfatti in
Africa. Una cultura che
spinse addirittura Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti (un errore
ulteriore che ci pesa addosso) a negare all’Etiopia l’estradizione di
Graziani richiesta per l’uso dei gas vietati da tutte le convenzioni
internazionali e per gli eccidi commessi e rivendicati. E più tardi
consentì a
Giulio Andreotti a incontrare l’anziano ufficiale, in nome
della Ciociaria, senza porsi troppi problemi morali.
Il
sito web del comune di Affile dedica una pagina a Rodolfo Graziani
'figura tra le più amate e più criticate a torto o a ragione'
Allora, però, nella scia di decenni di esaltazione del «buon colono italiano» non
erano ancora nitidi i contorni dei crimini di guerra. Gli
approfondimenti storici che avrebbero inchiodato il viceré d’Etiopia
mussoliniano al suo ruolo di spietato carnefice non erano ancora stati
messi a fuoco. Ciò che meraviglia è che ancora oggi il nuovo mausoleo
venga contestato ricordando le responsabilità di Graziani solo dentro la
«nostra» storia. Perfino Nicola Zingaretti nel suo blog rinfaccia al
maresciallo responsabilità soprattutto «casalinghe».
Per non dire dell’indecoroso sito web del Comune di Affile, dove
si legge che l’uomo fu una «figura tra le più amate e più criticate, a
torto o a ragione» del periodo fra le due guerre e un «interprete di
avvenimenti complessi e di scelte spesso dolorose». Che «compì grandiosi
lavori pubblici che ancor oggi testimoniano la volontà civilizzante
dell’Italia». Che «seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la
Patria attraverso l’inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà
al dovere di soldato».
«Inflessibile rigore morale»? «Rodolfo Graziani tornò
dall’Etiopia con centinaia di casse rubate e rapinate in giro per le
chiese etiopi», racconta Del Boca. «Grazie a lui il più grande serbatoio
illegale di quadri e pitture e crocefissi della chiesa etiope è in
Italia». Certo, non fu il solo ad avere questo disprezzo per quella
antichissima Chiesa cristiana fondata da San Frumenzio intorno al 350
d.C. Basti ricordare le parole, che i cattolici rileggono con imbarazzo,
con cui il cardinale di
Milano Ildefonso Schuster inaugurò il 26
febbraio 1937 il corso di mistica fascista una settimana dopo la
spaventosa ecatombe di Addis Abeba: «Le legioni italiane rivendicano
l’Etiopia alla civiltà e bandendone la schiavitù e la barbarie vogliono
assicurare a quei popoli e all’intero civile consorzio il duplice
vantaggio della cultura imperiale e della Fede cattolica ».
Fu lui, l’«eroe di Affile», a coordinare la deportazione dalla
Cirenaica nel 1930 di centomila uomini, donne, vecchi, bambini costretti
a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto fino ai
campi di concentramento allestiti nelle aree più inabitabili della
Sirte. Diecimila di questi poveretti morirono in quel viaggio infernale.
Altre decine di migliaia nei lager fascisti.
E fu ancora lui a scatenare nel ’37 la rappresaglia in Etiopia
per vendicare l’attentato che gli avevano fatto i patrioti. Trentamila
morti, secondo gli etiopi. L’inviato del
Corriere, Ciro Poggiali,
restò inorridito e scrisse nel diario: «Tutti i civili che si trovano
in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta
fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista.
Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti
indigeni si trovano ancora in strada... Inutile dire che lo scempio
s’abbatte contro gente ignara e innocente».
I reparti militari e le squadracce fasciste non ebbero pietà neppure per gli infanti. C’era sul
posto anche un attore, Dante Galeazzi, che nel libro Il violino di
Addis Abeba avrebbe raccontato con orrore: «Per tre giorni durò il caos.
Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre
giorni in Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide
più un africano».
Negli stessi giorni, accusando il clero etiope di essere dalla
parte dei patrioti che si ribellavano alla conquista, Graziani ordinò al
generale Pietro Maletti di decimare tutti, ma proprio tutti i preti e i
diaconi di Debrà Libanòs, quello che era il cuore della chiesa etiope.
Una strage orrenda, che secondo gli studiosi Ian L. Campbell e Degife
Gabre-Tsadik autori de La repressione fascista in Etiopia vide il
martirio di almeno 1.400 religiosi vittime d’un eccidio affidato, per
evitare problemi di coscienza, ai reparti musulmani inquadrati nel
nostro esercito.
Lui, il macellaio, quei problemi non li aveva: «Spesso mi sono
esaminato la coscienza in relazione alle accuse di crudeltà, atrocità,
violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto
tranquillamente ». Di più, se ne vantò telegrafando al generale
Alessandro Pirzio Biroli: «Preti e monaci adesso filano che è una bellezza».
C’è chi dirà che eseguiva degli ordini. Che fu Mussolini il 27
ottobre 1935 a dirgli di usare il gas. Leggiamo come Hailé Selassié
raccontò gli effetti di quei gas: si trattava di «strani fusti che si
rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano
intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò
che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti
colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro
piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri,
che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia
che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano
portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini».
Saputo del monumento costato 127 mila euro e dedicato al
maresciallo con una variante sull’iniziale progetto di erigere un
mausoleo a tutti i morti di tutte le guerre, i discendenti
dell’imperatore etiope, come ricorda il deputato Jean-Léonard Touadi
autore di un’interrogazione parlamentare, hanno scritto a Napolitano
sottolineando che quel mausoleo è un «incredibile insulto alla memoria
di oltre un milione di vittime africane del genocidio», ma che «ancora
più spaventosa» è l’assenza d’una reazione da parte dell’Italia.
Rodolfo Graziani «eseguiva solo
degli ordini»? Anche Heinrich Himmler, anche Joseph Mengele, anche Max
Simon che macellò gli abitanti di Sant’Anna di Stazzema dicevano la
stessa cosa. Ma nessuno ha mai speso soldi della Regione Lazio per
erigere loro un infame mausoleo.
Gian Antonio Stella