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La vergogna della disabilità in Africa

Creato il 05 dicembre 2012 da Cafeafrica @cafeafrica_blog

La vergogna della disabilità in Africa

La vergogna della disabilità in Africa
Fino all'età di sedici anni Grace ha vissuto nascosta dal mondo, segregata nel retro di una buia capanna nel Kenya a causa della sua disabilità. La sua mamma, la signora Wanjiru, un po' per vergogna della condizione di semiparalisi della figlia, un po' per timore delle reazioni dei vicini e degli abitanti del villaggio, l'ha tenuta nascosta, tanto che pochi sapevano della sua esistenza.
Un giorno un giovane uomo della zona viene a fare visita alla signora Wanjiru, chiedendo se è vero che in casa sua esiste una figlia che nessuno ha mai visto. Mamma Wanjiru nega e l'uomo se ne va. Dopo alcuni giorni lo stesso ragazzo torna e pone nuovamente la stessa domanda, ma stavolta la donna non può nascondersi dietro una bugia e rivela la presenza di Grace.
È stato sicuramente il giorno in cui la vita di Grace è cambiata e dall'ombra è potuta uscire alla luce, grazie all'intervento del volontario della Comunità St. Martin, il cui obiettivo è accrescere la capacità della comunità di prendersi cura delle problematiche legate al mondo della disabilità.
Oggi Grace sta finalmente frequentando regolarmente la scuola, riuscendo a superare tutti gli ostacoli fisici e psicologici che prima la condannavano ad un'esistenza priva di diritti e di gioia.
Una storia a lieto fine, ma in Africa la disabilità o, comunque, tutte le situazioni di differenza fisica e mentale sono considerate dei mali di cui avere solo vergogna.

A ciò si riallaccia un bell'articolo di Claudio Arrigoni sul Corriere della Sera http://invisibili.corriere.it/2012/11/30/la-dove-lepilessia-e-opera-del-demonio/

E' l'albergo più antico e caratteristico di Addis Abeba, capitale dell' Etiopia. Per questo meta di molti tour turistici. Gli ospiti sono in terrazza con il tablet, molti camerieri parlano inglese o francese. La scena si svolge qui. Dalla cucina esce una ragazza, portata a braccia da altre quattro. Si dimena. Passano dalla hall, la portano sul retro. Lei continua a dimenarsi. Un ragazzo cerca di tenerla ferma. Alcune inservienti e cuoche si fanno il segno della croce continuamente. Altre prendono una piccola bibbia e dei santini e glieli avvicinano al petto e sul volto. Le spruzzano acqua. Accendono fiammiferi e le fanno annusare lo zolfo che si sprigiona. "Lo sappiamo, è il diavolo, ora lo cacciamo, ci pensiamo noi": un autista che parla inglese cerca di allontanare una cardiologa italiana di Medici con l'Africa, lì per caso e che voleva intervenire.

[...] Una pediatra di una ong italiana di un ospedale non lontano da Addis ha fatto capire a una madre che il suo bambino era nato con sindrome di Down. Non lo ha più toccato, lasciandolo morire. La sindrome di Down è universale, non fa differenza per il colore della pelle, eppure girando per l'Africa subsahariana non si incontrano persone con tale sindrome.


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