La verità del giudice meschino di Mimmo Gangemi

Creato il 18 maggio 2015 da Funicelli
Incipit
L'acqua era senz'altro un segno. Una pioggia tanto fitta, scesa a soccorrerlo pochi minuti dopo che s'era appostato, era la prova ultima, definitiva, non che dovesse essere fatto, su quest'ultimo non c'era remissione dei peccati, ma che ci fosse la santa mano di Dio e la completa benedizione del cielo in seduta plenaria. Del cielo .. di chi lassù, o chissà dove, ha delega a sostenere gli eventi, a mutarli, a rinviarli. Così rimuginava l'Ombra mentre attendeva il suo uomo. Era acquattata dietro la siepe a ridosso del marciapiedi, dieci metri oltre il cancello che separava il cortile condominiale della strada libera ai piedi di tutti.
Chi è quest'ombra nera che, in terra di 'ndrangheta, si mette ad uccidere le persone seguendo un rituale macabro e brutale? Prima il giovane figlio di un capobastone locale, emblema della generazione di ndranghetisti che “aveva gli studi”, perché laureato in economia. Poi un poliziotto molto chiacchierato che, a stare a sentire i si dice, era pure a libro paga delle cosche. Due persone, catturate e legate come un capocollo, lasciate morire lentamente, la prima dentro una buca argillosa piena d'acqua e la seconda appesa per i piedi, a morire dissanguata come un maiale. Il caso finisce sulla scrivania del “giudice meschino”, Alberto Lenzi, perché destinatario di due lettere anonime con cui l'assassino lo sfida, indicandogli il luogo di sepoltura del primo morto, in una località chiamata “La gruviera”:
Qui è dove chiamano la “gruviera”, li informò. «Per i buchi sulla placca argillosa». Ne indicò uno. E altri sparsi più avanti. Camminavano su una macchia marrone chiaro, senza vegetazione e che davvero dava l'idea del formaggio svizzero per i fori che vi sprofondavano, la natura s'era divertita. Ispezionarono intorno. Nulla, a parte due scarpe, maltrattate, affiancate e capovolte. Incuriosirono Marina, che ne afferrò una. Ne venne su. E s'accorse che calzavano due piedi. Sbalzò indietro inorridita.
Un omicidio di 'ndrangheta, secondo i suoi rituali per cui ogni segno vuole significare qualcosa ai vivi?
«La 'ndrangheta fa così?».«No. A occhio e croce non è 'ndrangheta. La 'ndrangheta compie ammazzatine serie, senza sceneggiate e senza sfidare la Legge. A meno che non si tratti di una cosca che vuole far pensare a un pazzo. Tu ci hai pensato, per esempio. Ricordati sempre che da queste parti spesso le cose non sono come sembrano.»
Questo è uno dei primi insegnamenti che Lenzi deve dare al suo giovane uditore, l'apprendista magistrato Vittorio Cippo che lo affianca e che, nonostante alcuni pregiudizi iniziali, si rivelerà meglio di quello che sembra. Su questi omicidi il giudice Lenzi, indolento, pigro, donnaiolo ma quanto vuole, anche capace, deve cavarsela da solo. Don Mico Rota (il vecchio boss che l'aveva aiutato a modo suo in una vecchia indagine su scorie nucleari sotterrate), ora ai domiciliari, non sa o non vuole raccontargli nulla su questi omicidi sanguinari, da bestia.
In qualche misura pure lui era cascato nella stessa trappola di bonarietà un paio d'anni prima, quando ne aveva avuto l'aiuto sibillino, da decifrare, in un'indagine su un traffico di scorie radioattive di centrali nucleari, salvo ricredersi e riconoscerlo nella bestia sanguinaria nel corso di un'indagine successiva su un trafugamento di una partita di cocaina dal porto di Gioia Tauro ..”
Lasciato solo sia dal punto di vista professionale, perché il procuratore capo spinge per una soluzione veloce, non dispiacendo nemmeno troppo anche un innocente cui affibiargli l'ergastolo. Ma solo anche dal punto di vista personale: Marina, dopo i tira e molla, lo ha lasciato e con lui ha ormai solo un rapporto distaccato. Laura, la giovane avvocatessa, non gli si concede fino in fondo, sperando in una relazione più profonda e a lungo termine. In questa storia compare anche una terza donna, che intriga “l'ominità” del giudice: Sara, la giovane vedova della prima vittima, il figlio del capobastone Morello. Dove cercare il movente per le due (che poi sarebbero pure tre per un vendetta di mezzo) morti? Quale legame esiste tra il boss “femminaro” e il poliziotto che tutti dicono corrotto e colluso? Tutte le piste facili da percorrere non convincono Lenzi: la guerra tra cosche, un serial killer, un vendetta dal passato, forse .. Ma cosa può aver spinto quest'ombra a cercare il sangue con così tanta ferocia? Il libro, in un omaggio a Sciascia e Camilleri, alterna al racconto del giudice Lenzi, la voce del popolino che si ritrova al circolo Spatò, dove attorno al tavolo troviamo il marchese, il preside, l'ingegnere, il medico a disquisire e a teorizzare su movente e identità dell'assassino. A pronunciare accuse a mezza bocca, a far girare le voci. Ma troviamo anche i pensieri dell'ombra, cui le morti e il sangue non placano un dolore antico:
Pensieri inutili, tanto si congedava presto, mancava poco. Si sentiva un malato terminale, era un malato terminale, un ultimo sforzo e si licenziava dal mondo. Non si fermava certo ora, sul meglio, sulla botta del mastro, con il cerchio vicino a chiudersi. E non importava che i primi due non gli avessero portato il po' di pace su cui contava, né lenito la pena. Aveva saziato rabbia e basta. Ugualmente restava un'opera doverosa, da condurre al traguardo.Doveva sbrigarsi però. Il terzo a quel punto aveva capito. Dopo Morello non poteva. Dopo Speranza sì: aveva sommato le due morti, gli era uscito ch'era il prossimo ed era scomparso”.
In un secondo incontro, don Mico Rota, che pure qualcosa ha capito, arriva a contarli una parabola: una vecchia storia di un paese dove la gente muore, di un gallo e di un braciere da tenere accesso
E don Mico riprese, come parlando tra sé: «Una volta, in un paese non lontano da qui … allora ci vivevano un migliaio di persone, ora ci sono pochi vecchi che li si vede in giro da maggio a settembre, per il resto si seppelliscono dentro le case. Con tutto ch'erano quattro gatti, ogni tanto qualcuno volava in cielo prima del tempo, un lampo da una siepe e ti saluto, era bell'e pronto per il creatore. Non si capiva chi era stato. A quanti chiedevano per chi e per come, “il gallo”, rispondevano i paesani, e indicavano il gallo di terracotta, colorato uno spettacolo ...»
La svolta, per l'indagine, arriverà non dall'interpretazione delle parile sibilline del boss (che si crede un Dio in terra) ma più da una intuizione personale e da una telefonata anonima. Per una verità che si rivelerà troppo amara e dura. I romanzi di Mimmo Gangemi sono come un dizionario per comprendere il mondo della Calabria per chi viene da fuori. Le logiche e i meccanismi dentro le famiglie di ndrangheta, delle persone che commentano le storie da fuori. Di una Calabria bellissima, con dei paesaggi mozzafiato:
“colline inchiodate dal sole- e gli spicchi di mare che riuscivano a scansarle. Strapiombavano sulle acque, tingendole della loro ombra. Avevano pendenze per scalatori, vertigini al solo poggiarci l'occhio, eppure fino a pochi decenni prima erano coltivate a zibibbo, non scampava un metro quadro. La fame di antichi contadini aveva saputo domare i burroni alternando, fin su in cima, stretti terrazzamenti e muri a secco con pietre a sbalzo da altre pietre, a mo' di gradini. Era una terra sospesa tra cielo e mare, dove si mescolavano, in una piacevole fragranza, il salmastro risalente dalla costa e gli odori delle erbe, degli steli d'originano, dell'uva che si maturava, dei sudori della fatica di uomini e donne ..”

Ma c'è anche il racconto di cosa sia la giustizia in quella terra, di cui si parla solo dopo fatti di sangue e per il resto dimenticata da Roma e dal resto del paese:
Che da quelle parti sempre più la Giustizia incuteva paura anche alle persone perbene, con nulla da nascondere. Colpa [..] di certi magistrati che buttavano le reti, a chi piglia piglia, e solo dopo operazioni la cernita, che mettevano i ferri al minimo sospetto e non ritrattavano manco se scendeva il padreterno in persona ad avvertirli che avevano preso un abbaglio. Era ossessione di carriera. Era ignoranza. Era la coscienza incartata e data via. Era presunzione. La toga sulle spalle ci colpava, che decidessero destini, quasi che il loro giudizio terreno fosse un'anticipazione di quello divino. Per fortuna lui, pur con mille difetti, non ci era cascato.
Lui è il giudice Lenzi, pieno di difetti, cinico anche, disincantato ma assolutamente distante da questo modello carrieristico di giudice. Ma con un suo senso di giustizia, che in questa storia dovrà finalmente prendere una decisione sulle tre donne a cui è legato. Donne che, lo racconta lo stesso suo autore, rappresentano tre istinti diversi: la famiglia, la passione e la forza e il cinismo. Buona lettura! I romanzi di Mimmo Gangemi col giudice Lenzi - Il giudice meschino - Il patto delgiudice La scheda del libro sul sito di Garzanti editore
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