Magazine Cultura

La versione di Barney dieci anni dopo

Creato il 14 gennaio 2011 da Robomana
La versione di Barney dieci anni dopoAlla fine ho visto La versione di Barney. Come Francesco Merlo. E ho letto il libro, dieci anni fa. Come quasi tutti, compreso Merlo. Visto adesso fa un certo effetto. E a parte celebrare i dieci anni dalla morte di Richler, il film sembra concepito dal ministero della cultura canadese come una vetrina di prodotti d.o.c, con i cammei di Cronenberg e Arcand, le canzoni di Leonard Cohen (almeno tre, e nemmeno delle più ricercate), l’hockey e i paesaggi naturali esposti come prosciutti di fiera. Fa un certo effetto, soprattutto, perché oggi uno come Barney Panofsky non è attuale, ma è il simbolo di un’epoca e un secolo passati, per quanto sia doloroso ammetterlo. Solo dieci anni fa, quando il libro arrivò in Italia, tra le urla di giubilo di D’Orrico e Ferrara si fece a turno a identificarsi nella follia superomistica del personaggio, un eroe modernista e pienamente novecentesco ben felice di essere dannato e modellato sui villain sociopatici e sessuomani di Bellow e Roth. Oggi, invece, passati dieci e più anni (il romanzo è del 1997), di quell’adorabile figlio di puttana di Barney non sappiamo che farcene: in fondo, alla fine, resta un povero coglione e la compassione l’abbiamo spesa tutta per Herzog o per Sabbath.

E infatti, nel film, Barney non possiede la metà della ridicolaggine e della bruttezza originali. A suo modo è tenero e innamorato, cazzone, sì, ma innocente. E alla fine lo si eleva pure nel regno dell’immortalità, grazie a una redenzione amorosa moraleggiante e pure commovente.
Se una cosa invece i grandi narratori anglo-americani l’hanno insegnata è che in letteratura la morale te la puoi dimenticare, mentre per i tasti conservi lo scherno, la disperazione, la spietata consapevolezza di un senso del ridicolo inesauribile. Ma il cinema, questo cinema leggero a cui La versione di Barney appartiene non sa e non può essere profondo quanto il mondo intellettuale a cui il romanzo faceva continuamente riferimento: il Barney letterario era un mondo libri consumati, di aristocratica dannazione tutta letteraria (al cinema ce l’ha solo Allen) e che per la cultura americana ha rappresentato il modo più onesto per rielaborare il senso di colpa e inferiorità nei confronti dell’Europa e della sua cultura millenaria.
Il Barney del cinema è solo un pover uomo sfortunato e un po’ vigliacco, mediocre ma in fondo buono. La sua negatività sembra un’aggiunta dell’ultima ora, un irrinunciabile tributo all’autore: bisogna guadagnarselo, lo status di figlio di puttana.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :