Magazine Religione
Definitivo. Eterno. Indissolubile.
Con tutto rispetto per qualsiasi scelta libera e responsabile, non nascondo le mie personali perplessità per termini come quelli sopra citati. In una società così complessa non esistono decisioni definitive nè traguardi completamente raggiunti. Seppure le scelte di fondo possono accompagnare tutta una vita, le decisioni concrete sono legate a svariati fattori di cambiamento e perciò sono sempre relative.
Non sia mai che in nome di una fedeltà ad una legge, ad una promessa, ad un ruolo, ad un modello... arriviamo a fare del male a noi stessi e alle persone che ci vivono accanto!
Sabato 5 giugno, in cattedrale a Padova, il vescovo ordinerà dieci nuovi presbiteri diocesani. Sull'articolo apparso nel settimanale della diocesi si sottolinea che "l'ordinazione presbiterale è la tappa culminante di un percorso formativo di sei anni...".
La locandina, che ritrae i dieci giovani in posa attorno all'altare, porta come slogan l'espressione che Gesù rivolse ai suoi discepoli in occasione dell'ultima cena: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19).
I messaggi che vengono ripetutamente lanciati in occasioni come queste, si collocano purtroppo all'interno di una vecchia teologia che pretende di istituzionalizzare e atrofizzare il messaggio universale e dinamico del Vangelo. La consacrazione, o riconoscimento pubblico per un servizio che questi uomini devono ancora iniziare, si esaurisce forse nel simbolico gesto dell' imposizione delle mani di un vescovo? Più che di traguardo, non si tratta invece di partenza incosciente verso orizzonti sconosciuti?
Attorno all'altare, la foto li proietta nel cenacolo, come se per essere apostoli e discepoli di Gesù occorre essere preti per forza, ed esserlo fino alla fine, obbedienti ad una promessa sacra. Un abbaglio che continua a creare disumane aspettative, inutili frustrazioni dopo i primi anni di entusiasmo, cristiani di serie A e di serie B.
"Stare con lui" (Mc 3,14) è un invito rivolto a tutti. "Fate questo in memoria di me!" Spezzare il pane, condividere quello che siamo e quello che abbiamo con chi ci vive accanto, cioè la passione e l'impegno per la costruzione del regno di Dio, sull'esempio di Gesù, credo sia la primaria vocazione di ciascun cristiano. Relegare in un semplice atto liturgico il senso di questa espressione-missione, mi sembra assai riduttivo, fuordeviante e addirittura antievangelico!
Lo dico, non per suscitare inutili polemiche, ma perchè noto come l'attenzione della maggior parte dei credenti sembra rivolta al segno e al simbolo e non alla realtà alla quale il segno e il simbolo rimandano. Adoratori di ostie, di statue, di crocifissi, di prediche ex opera operato, semplicemente perchè si è sempre fatto così! E intanto "l'acqua unita al vino..." viene privatizzata, sotto gli occhi degli assettati di religiosità. E "il pane" continua ad aumentare di prezzo, dietro le spalle di affamati che provano invano il miracolo della moltiplicazione.
Spezzare il pane della condivisione e le catene dell'iniquità.
"Fate questo in memoria di me".
Per rendere presente colui che ci accomuna.
Nel mondo di oggi, il regno di Dio, molto più vasto dell'ovile cattolico.
Dentro e fuori di sè, dove ciò che per l'uno è dentro è fuori per l'altro, finchè ci saranno recinti.
(Leggi "Consigli da un prete disobbediente")
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