Recentemente mi è capitato più volte, in luoghi virtuali, nei quali le parole hanno tuttavia lo stesso peso di quelle dette in faccia, di imbattermi nell’uso di un termine odioso, lesivo della dignità umana e gravido di violenza: “Zoccola”.
Un epiteto che non dovrebbe essere rivolto neanche alla più miserabile delle prostitute e tanto meno, come nei casi cui alludo, a Donne accusate, a torto o a ragione, di comportamenti leggeri e disinvolti, magari mal dissimulati da un’apparenza ingenua.
Un epiteto che mi disturberebbe anche se proferito da un marinaio ubriaco in un’osteria d’angiporto, un epiteto che molto probabilmente l’assassino di Scandicci avrà rivolto, insieme ad altri analoghi, alla sua vittima, mentre la torturava a morte.
Quanta violenza in questa parola, proferita da egregie persone che avranno versato copiose e sincere lacrime sulla “zoccola” di Scandicci, come per coerenza dovrebbero avere il coraggio di chiamarla anche al cospetto del suo cadavere.
Ne ho conosciute, ne ho anche frequentate, come alcuni sanno e potrebbero gridare dai tetti senza crearmi il minimo imbarazzo, e vi assicuro che tra loro ho trovato persone di animo gentile e generoso, come non sempre avviene frequentando la “gente per bene”.
Ad alcune, vere o frutto della mia fantasia, ho dedicato poesie e racconti, soprattutto alle più sfortunate, alle quali, più che il marchio d’infamia di quella parola, spetterebbe il titolo di martiri.
Nelle immagini, un ratto delle chiaviche e Andreea Cristina Zamfir accanto alla sua croce … per qualcuno sono la stessa cosa.
http://www.goccedipoesia.it/index.php/component/content/article/10-/poesia/29110-fabiola
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Federico Bernardini