«Non ci sono dubbi sulla violenza contemporanea. Ma non si tratta solo di barbarie, né solo di egoismo. Essa pretende di sciogliere i sapienti garbugli delle crisi interiori. Si propone come via di salvezza, come cura d'anime. Gli intellettuali si vergognano della loro condizione come se fosse un'impotenza o una cosa decrepita. Ecco che da almeno mezzo secolo si vergognano della contemplazione. le essenze eterne esalano noia. Essi preferiscono tagliare i nodi del problema nell'azione. La rottura violenta con il corso delle cose - sia che si tratti di trattenere ciò che scorre via o di precipitare quanto si muove lentamente - ricondurrebbe lo spirito a se stesso. La lenta maturazione delle cose è intollerabile»*.Ma ci vuole pazienza, come dice dopo lo stesso Lévinas. La virtù della pazienza
«non per predicare la rassegnazione contro lo spirito rivoluzionario, ma per far sentire il legame essenziale che unisce la vera rivoluzione allo spirito di pazienza. Essa infatti promana da una grande pietà. La mano che impugna l'arma deve patire la violenza di un simile gesto. L'anestesia di un simile dolore conduce il rivoluzionario alle frontiere del fascismo»*.Eccomi consolato. La pazienza, la virtù degli antifascisti.
*Emmanuel Lévinas, Difficile libertà, Jaca Book, Milano 2004, pag. 196, trad. di Silvano Facioni.