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La vita che volevo, Maribeth Fischer

Creato il 08 settembre 2013 da Serenagobbo @SerenaGobbo

La vita che volevo, Maribeth Fischer

Grace ha un bambino di tre anni che soffre di una malattia mitocondriale (difficoltà di trasformare il cibo in energia) e dunque è destinato a morire da un momento all’altro, ogni crisi potrebbe essere quella decisiva. Come se non bastasse, lei viene accusata di soffrire di sindrome di Munchausen per procura, un disturbo della personalità a causa del quale sarebbe lei a indurre i sintomi nel figlio, tutto al fine di attirare l’attenzione su di sé, sulla sua bravura e abnegazione.
Lei è innocente e tuttavia la allontanano dal figlio negli ultimi giorni della sua vita, e il bambino, lungi dal migliorare in assenza della madre presunta carnefice, muore.

Tristissimo.
Pieno di lacrime e sensi di colpa e separazioni e bambini che soffrono e… di domande sul “cosa resta?”
Ma la cosa che mi ha colpito di più è che il romanzo porta questa dedica:
In memoria del mio paperottolo.
Come cavolo ha fatto a scrivere su una tale disgrazia? Non biasimo, intendiamoci! Solo, davvero mi chiedo dove ha trovato la forza di andare avanti dopo una cosa del genere (che io neanche nomino) e fare un gesto così intimo, così confessionale, così… autolesionistico come scriverci un romanzo sopra.

Questa lettura mi ha portata a “Il caso o la speranza?” di D’arcais e Mancuso, incredibile come i libri si leghino tra loro.
Mancuso e D’arcais intavolano un duello serrato. io ciondolo da una parte all’altra e non mi deciso mai del tutto.
“Cosa resta?”



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