La vita contro

Da Femminileplurale

Recensione documentario: Irene Dionisio “Così è se vi pare. Il Movimento per la Vita in Italia”

C215, Lost Paradise

Il bel documentario di Irene Dionisio Così è se vi pare [1] riguarda il Movimento per la Vita, fondato nel 1975 a Firenze, pochi anni prima della legge 194. L’associazione Movimento per la Vita ha come scopo «difendere la vita dal concepimento al termine naturale. L’associazione è per statuto «apartitica, aconfessionale e trasversale», con lo scopo cioè di dichiarare la Vita come un tema, appunto, trasversale, rispetto sia alle relisioni sia ai partiti politici. Nonostante questa dichiarazione, è evidente che nel clima italiano il tema della “Vita” sia politicamente accattivante per quella destra alla ricerca del compiacimento della gerarchie ecclesistiche e, in generale, conservatrici dello status quo, così come per l’associazionismo cattolico (per esempio, don Maurizio Gagliardini, dell’Associazione Difendi la Vita per Maria). Allo stato attuale della vita pubblica, si tratta di forze politiche vigorose.

A impressionare è innanzitutto la capillarità del fenomeno descritto da Dionisio. In tutto il territorio nazionale il Movimento per la Vita può contare su circa 60mila volontari, mentre i “centri di aiuto alla vita” (CAV) sono 315. Un vero esercito, che ad oggi vanta 120 – 130mila bambini «salvati». E che ora – come denuncia tra le altre Mirella Caffaratti, avvocatessa della Casa delle Donne di Torino – sta entrando nei consultori. Nel Lazio, la legge regionale Tarzia stabilisce che i consultori famigliari non siano più «strutture prioritariamente deputate a fornire, in modo asettico, servizi sanitari o para-sanitari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia ed i valori etici di cui essa è portatrice» (qui per il testo completo). In una parola, si fa entrare il Movimento per la Vita nei consultori, sostituendo così l’ideologia alla salute delle donne. Come afferma in modo apparentemente innocuo Valter Boero, Presidente Movimento per la Vita di Torino, nonché ex consigliere comunale UDC:

Se avessimo la possibilità di parlare alle donne con calma, in una situazione di quiete, senza pressioni eccesive, saremmo in grado di presentare un progetto molto più interessante di quello dell’interruzione di gravidanza”.

Balza all’occhio che nel documentario gli intervistati del Movimento siano per la maggior parte uomini. Purtroppo non si dice quale sia la proporzione uomini-donne tra i volontari del “movimento reale”, ma sicuramente sappiamo che sono uomini il Presidente Nazionale (Carlo Casini) e il Presidente della sezione giovani, “Giovani per la Vita” (Pantaleone “Leo” Pergamo). Colpisce – ma consapevoli della storia delle donne, fino a un certo punto – la sicumera con cui i Presidenti parlino delle donne e delle conseguenze cui vanno incontro in seguito all’interruzione di gravidanza. Non si limitano infatti a definire l’aborto un «ammazzamento», e il numero totale delle interruzioni di gravidan in Italia un «genocidio», ma arrivano ad includere in quel gesto il «suicidio» della donna. Come se potesse essere qualcun altro – oltre alla donna stessa, in prima persona – a definire e a raccontare quell’esperienza.

È perciò a partire dalla descrizione dell’interruzione di gravidanza in questi termini (l’aborto è, deve essere terribile, l’aborto annienta, deve annientare la donna… come potrebbe essere altrimenti, dato che la maternità è l’esperienza di naturale realizzazione della donna in quanto tale?) che prende avvio l’interpretazione normativa dell’esperienza di interruzione di gravidanza. Si noti che questi uomini prendono la parola al posto delle donne, su una esperienza che è, e può essere, soltanto loro. Purtroppo questa lettura diventa una profezia che, per molte donne, si autoavvera. Ma non c’è nulla di naturale nell’essere «annientate» da un’interruzione di gravidanza. Si tratta invece di una lettura ed eventualmente di un’esperienza determinate dalla cultura e dalle pressioni sociali. Con questo non si intende affatto negare leggittimità al dolore che molte donne possono aver provato in seguito a un aborto, ma piuttosto identificare in quanto tali queste letture imposte dall’alto. Solo chi ha provato può dire che cosa significa, ed eventualmente la quota di dolore e di liberazione che sono racchiuse in quell’esperienza. Che altri si arroghino il diritto di prendere la parola – e prenderla in modo definitivo, normativo – al posto delle donne è davvero intollerabile.

Essenziale in questa impostazione è anche l’uso della parola “vita”. Come fa notare Giulia Druetta di Altereva, la retorica della Vita messa in atto dal Movimento è assolutamente binaria, confina cioè nella sfera semantica della Morte tutto ciò che non sia «difesa della vita fin dal concepimento». Ma tutto questo è rovesciato: essere pro-life non ha nulla di “pro” dato che significa essere anti-abortista, mentre essere abortista significa essere pro-choice, cioè non si prescrive ovviamente nessun obbligo per le donne, difendendo invece la loro (nostra) libertà di scelta.

Murillo La Purísima Inmaculada Concepción

Anche perché in questo contesto cossiddetto pro-life la “vita” delle donne, la loro salute psichica e fisica, non viene affatto presa in considerazione. Tutto ciò che importa è la “vita” del prodotto del concepimento. In questa prospettiva ideologica, le donne hanno davanti a sé solo il proprio destino biologicamente determinato, il diventare madri. Non è contemplato che abbiano altri desideri, altri progetti, altri tempestiche rispetto a quelle di una gravidanza indesiderata. Ma se perseguiranno questi desideri, questi progetti e queste tempistiche a costo della maternità, allora saranno, dovranno essere, «annientate» dal dolore, dall’angoscia e dai sensi di colpa. Per queste ragioni il Movimento per la Vita si configura come un movimento per la conservazione dello status quo, a favore delle donne intese come contenitrici passive della “Vita”, e contrario all’emancipazione delle donne intese come soggetti umani a tutto tondo, con la possibilità perciò di scegliere la maternità consapevolmente e responsabilmente, ma anche con la possibilità di avere altri orizzonti rispetto ad essa.

È forse per questa supposta “naturalità” della vocazione del Movimento che i volontari nella maggior parte dei casi non hanno nessuna preparazione specifica? Matteo Bevilacqua è tra gli intervistati: è un fedele volontario del Movimento, è fermamente convinto che «l’aborto non deve avvenire», questo per «salvare bambini», e che sia «un grande servizio» «mettere di fronte le donne» alla realtà che «la vita è il più grande dono che abbiamo». Bevilacqua, con tutta la buona fede che possiamo concederegli, è tra i volontari che il Movimento prevederebbe di inserire nei consultori per parlare «alle donne con calma», al fine di «presentare un progetto molto più interessante»? È un ingegnere tecnico. A che titolo parlarebbe con donne che si trovano in una situazione tanto personale e delicata? A vantaggio di chi?

Maria Rosa Giolito, Coordinatrice dei consultori regionali del Piemonte, puntualizza ciò che dovrebbe essere ovvio. Si tratta di:

«sospendere il tuo giudizio personale, per cercare di entrare in contatto con la donna che fa la richiesta, non arrogarsi la presunzione di essere in grado di decidere per un altro, che è molto pericoloso. Entrare nella vita di un altro attraverso i propri principi è sempre molto delicato».

Nonostante tutte queste violenze al buon senso e al diritto, la visione dell’equilibrato documentario di Dionisio metto bene in luce bene come il Movimento per la Vita abbia il vento in poppa. Se non bastassero le notizie dal Piemonte, dal Lazio e  i numeri ricordati sopra rispetto ai volontari e ai centri attivi, si aggiunga che il Movimento ha una strategia educativa che prevede l’ingresso in scuole pubbliche e private, primarie e secondarie. Su invito, per decisione del preside o del collegio docenti, il Movimento tiene corsi sui metodi naturali di contraccezione in sostituzione del preservativo. Solo a Torino sono presenti in ben 15 scuole. Si delinea così un lavorio che produce e sfrutta un clima politico-culturale contro le donne – o, più precisamente, a favore della personalizzazione dell’embrione e contro la personalizzazione delle donne in quanto piena soggettività.

Se vogliamo, e io credo dovremmo, tenere conto di tutto questo, il movimento femminista dovrebbe trovare altre strategie di resistenza e di affermazione. Per esempio, alcune nostre parole sono indebolite, o neutralizzate o, addirittura, rivolte conto di noi. Prima fra tutte, a mio avviso, la parola “autodeterminazione“. Facendo l’avvocato del diavolo: perché la donna dovrebbe avere la possibilità di autodeterminarsi, mentre il “nascituro” no? Che autodeterminazione è quella della donna se, nell’ “autodeterminasi”, “determina” anche la “vita” di un’altra “persona”?

Una strada pragmatica e relativamente naturale potrebbe essere quella di far rientrare la battaglia dell’autodeterminazione rispetto alla gravidanza nella sfera semantica della salute. L’aborto e la contraccezione sono, in effetti, aspetti del diritto all’assistenza sanitaria da parte delle donne. In questo modo si potrebbero bypassare alcuni argomenti forti del Movimento per la Vita – forti naturalmente per chi ci crede, ma dobbiamo prendere atto che sono in molti – tenendo la battaglia viva a partire da un diritto fondamentale sancito anche dalla nostra Costituzione (art. 32).

Sono consapevole che per tante di noi sarà difficile rinunciare alla parola “autoderminazione” e al concetto di “libertà di scelta”. Ma in un clima politico e culturale come quello attuale abbiamo bisogno di analisi realistiche e di risposte efficaci.

[1] Il documentario Irene Dionisio, Così è se vi pare. Il Movimento per la Vita in Italia è prodotto dalla Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni e Fluxlab. Co-produzione del Gruppo Regionale Federazione della Sinistra e di ArciGay Torino.


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