LA VITA DELLA MADONNA Secondo le contemplazionidella pia ...

Da Eleonoraely
LA VITA DELLA MADONNA Secondo le contemplazionidella pia Suora STIGMATIZZATAAnna Caterina Emmerick
113 – Il santuario della Santa Famiglia
La vita in Matarea fu per loro assai grave e soffrirono man­canza d’acqua e di legna, specialmente nei primi tempi. 
Gli abi­tanti del luogo si servivano per gli usi domestici di erba dissecca­ta o di canne. La Santa Famiglia si nutriva quasi sempre di cibi freddi. Siccome gli abitanti di Matarea non sapevano costruire le loro capanne, Giuseppe fu subito chiamato ad accomodare le ca­panne che più ne avevano bisogno. Ma era trattato alla stregua di uno schiavo, lo pagavano male e spesso tornava a casa senza aver ricevuto ricompensa alcuna. Il legname mancava, e seppure ve n'era qualche raro pezzo, mancavano gli strumenti per lavorarlo perché questa gente cono­sceva solo comuni coltelli di pietra o di osso. Giuseppe, che ave­va portato con sé gli strumenti più necessari, riusciva invece a ta­gliare il legno e a fare simili lavori. Grazie alla sua infaticabile mano, la Sacra Famiglia era riuscita anche a disporre un po' me­glio il suo alloggio. Il sant’uomo, mediante tavole di giunchi leggerissime, montò piccole stanzette, poi preparò un focolare e fabbricò due tavolini e alcune sedie. Gli abitanti di Matarea usavano mangiare sul terre­no. In questa dimora i santi Fuggiaschi vi trascorsero alcuni anni, ed io ebbi modo di vedere molte cose relative all’infanzia di Gesù. Egli dormiva in una nicchia scavata da Giuseppe nella parete della bottega, la Vergine dormiva vicino a Lui. Spesso la vidi alzarsi di notte e pregare inginocchiata l’Altissimo dinanzi a Gesù. Giusep­pe dormiva in un’altra piccola stanzetta. In un andito isolato dal resto della casa era stato disposto un piccolo oratorio. Giuseppe, Maria Santissima e Gesù avevano cia­scuno il loro posto di preghiera, sia stando seduti, in ginocchio, come anche in piedi. Vidi la Santa Vergine pregare spesso dinan­zi all’altarino della casa, eretto in una nicchia nel muro; era un ta­volo piccolo ricoperto dei panni cultuali. Vicino all’altarino vidi dei piccoli mazzi di fiori disposti en­tro vasi in forma di calice; vidi pure l’estremità di quel bastonci­no che Giuseppe aveva ricevuto al tempio, il quale era assicurato entro un astuccio largo circa un pollice e mezzo. Ho veduto anche alcuni simboli egiziani relativi alla nascita della Madonna, ma li ricordo solo confusamente.
114 – Elisabetta conduce Giovanni per la terza volta nel deserto
Mentre la Santa Famiglia dimorava in Egitto, il piccolo Giovan­ni ritornò a vivere con i propri genitori a Juta, mantenendosi accu­ratamente nascosto. Ma fu notato da qualcuno e il pericolo si fece di nuovo incombente, allora Elisabetta fu costretta a ricondurlo di nuovo nel deserto. Era il terzo ritorno di Giovanni. Egli aveva a quel tempo quat­tro o cinque anni. Zaccaria era assente quando essi partirono, cre­do che si fosse allontanato per evitare il dolore dell’addio, perché amava moltissimo suo figlio. 
Prima che Giovanni andasse via con la madre, Zaccaria lo benedisse come era sua abitudine ogni qual­volta si assentava. I capelli di Giovanni erano più scuri di quelli di Gesù, e in tutto il tempo che egli dimorò nel deserto gli vedevo sempre fra le mani il bastoncino bianco. Lo vidi condotto per mano da sua madre. Elisabetta attraversò con lui a passo veloce le solitudini del deserto. Indossava una lunga veste e ogni suo movimento era sem­pre rapido e risoluto. Spesso, durante il cammino, Giovanni pre­cedeva la madre e lo vedevo fanciullo semplice e ingenuo, sebbe­ne mai fosse troppo inquieto né distratto. Camminarono verso sud, costeggiando un fiume sulla riva destra, poi passarono all’altra riva su una zattera. Elisabetta, che era una donna assai energica, sapeva trattare vigorosamente anche i remi. Giunti all’altra sponda, i due si inoltrarono in una via che volgeva a sinistra. Percorse alcune miglia, entrarono in una caver­na che, nonostante si trovasse in una zona deserta e selvaggia, aveva alla sua entrata alcuni alberi fruttiferi. Giovanni si nutriva con quella frutta. Sistemato alla meglio suo figlio, Elisabetta prese congedo da lui: lo benedisse, lo strinse al cuore, lo baciò sulle guance e sulla fronte, poi se ne andò. Più volte quella Santa Madre si volse in­dietro cercando con gli occhi lucidi di lacrime il figlio, lasciato solo nella caverna selvaggia. Frattanto questi, senza timore, s’inoltrò arditamente all’interno della grotta. Dio mi concesse la grazia di sentirmi presente a tutto quanto avveniva, facendomi sentire nella visione come una fanciulla. Mi parve infatti di avere l’età di Giovanni e di accompagnarlo nelle sue passeggiate, spesso mi angustiavo per lui vedendolo allontanarsi troppo dalla grotta nelle sue scorrerie. Mi consolava una voce dicendomi che non avevo alcun moti­vo per affliggermi perché Giovanni sapeva benissimo ciò che fa­ceva. Allora mi sembrò di essere insieme ad un amico fidato del­la mia gioventù e di attraversare le solitudini del deserto con lui. Vidi in tal modo molti fatti che gli accaddero durante il sog­giorno in questo luogo selvaggio. In una visione passeggiavamo insieme, in quest’occasione Gio­vanni mi narrò alcuni fatti che gli erano accaduti durante la sua precedente vita solitaria. Mi rivelò le mortificazioni che si era im­posto e come tutte le cose che lo circondavano lo avessero ben istruito ai misteri della vita e della natura, sebbene ciò fosse avve­nuto in modo per lui incomprensibile. Spesso, quando mi trovavo sul pascolo, lo chiamavo in que­sto modo: “Giovanni, vieni qua col tuo bastoncino e la tua pelle sulle spalle”. Allora alcune volte mi appariva, veniva verso di me e giocavamo insieme come fanno tanti fanciulli; frattanto mi rac­contava molte cose della sua vita, e molte altre volte mi istruiva sui misteri dello spirito e della natura. Mai mi meravigliavo quando lo vedevo ricevere istruzioni dalle piante e dagli animali, poiché io stessa quando mi trovavo a pascolare il gregge trovavo meravigliose istruzioni da ogni fio­re, dal campo e da ogni uccello, come se leggessi in un libro pre­zioso. Anche il cogliere le spighe, l’estirpare l’erba ed il radunare le radici, era per me perenne fonte d’istruzione. Ogni forma, ogni colore, ogni cespuglio, era oggetto di profonde considerazioni e contemplazioni. Quando io partecipavo a qualcuno queste gioie del­l’animo, escluso lo stupore, il più delle volte scorgevo un sorriso scettico. Di fronte a queste reazioni dei miei ascoltatori, mi abituai a tacere. Seguendo il fanciullo Giovanni nel deserto, lo vidi comunicare con i fiori e con gli animali. Specialmente gli uccelli erano i suoi prediletti: quando passeggiava, e ancor più quando pregava in ginocchio, essi accorrevano cinguettando intorno a lui. Se egli po­neva il suo bastoncino orizzontalmente, fra i rami degli alberi, ac­correvano alla sua voce numerosi uccelli variopinti e si disponeva­no in fila sul suo bastone. Allora Giovanni parlava amichevolmente con loro, quasi come se tenesse scuola. Altre volte lo vidi seguire gli animali nei covi e nelle tane, dar loro cibo e contemplarli con la massima compiacenza.
115 – Erode fa arrestare e uccidere Zaccaria. Morte di Elisabetta.
All’età di sei anni, Giovanni viveva ancora nel deserto. Elisa­betta era andata a fargli visita mentre Zaccaria si era recato ad offrire vittime al tempio. 
Temendo di essere interrogato dagli erodiani, questa volta il vecchio sacerdote volle ignorare a propo­sito il luogo dove si trovasse suo figlio. Però Giovanni si recava a trovare il padre segretamente nella notte, e dimorava qualche tempo nella casa. Siccome le potenze celesti guidavano sempre i passi di Giovanni, probabilmente l’Angelo custode lo avvertiva quando fosse possibile percorrere senza pericolo la via che condu­ceva alla dimora dei genitori. Figure luminose, come quelle degli Angeli, lo accompagnavano nelle sue peregrinazioni. Il Battista era stato destinato da Dio a crescere isolato dal mondo e ad essere educato solo dallo Spirito Divino, vidi che non aveva bisogno di alimentarsi con il cibo usato dall’uomo per soddisfare la fame. La Provvidenza dispose che egli fosse condot­to nel deserto spinto dalle circostanze esterne che conosciamo. Per questa vita la sua natura era irresistibilmente inclinata. Infatti già nella sua prima infanzia lo vidi anima solitaria e contemplativa. Quando per divina ammonizione la Santa Famiglia fuggi in Egitto, anche Giovanni, il precursore di Gesù, dovette rifugiarsi nel deserto; così fu per tre volte. Fin dal momento della sua nascita egli aveva attirato l’attenzione pubblica e il sospetto delle autorità di possedere facoltà soprannaturali. Giovanni si era presto attirato il sospetto degli sbirri erodiani sia per il comportamento che per la sua aurea luminosa. Parecchie volte, senza far ricorso alla violenza, il tiranno ave­va chiesto a Zaccaria dove si trovasse il figlio. Ma questa volta, dopo la strage degli Innocenti, appena il vecchio saggio arrivò alla porta principale di Gerusalemme, quella che dà sulla strada di Betlemme, i soldati di Erode gli tesero un agguato, lo sorpresero e lo maltrattarono crudelmente. Lo trascinarono quindi in una pri­gione posta alle falde del monte Sion, presso il quale più tardi pas­seranno i discepoli di Gesù per recarsi al tempio. Dopo aver sottoposto il povero vecchio alle più bestiali torture per strappargli la rivelazione della dimora di suo figlio, Zaccaria fu crudelmente trucidato per ordine di Erode. I suoi amici ne seppellirono il corpo non lontano dal tempio. Intanto Elisabetta si era incamminata verso casa per raggiun­gere il suo consorte, credendo che Zaccaria fosse ritornato ormai a Juta dopo il servizio al tempio. Giovanni accompagnò sua madre per un tratto di strada, quin­di, ricevuta la materna benedizione ed un bacio, se ne ritornò al­legramente alle sue solitudini. Appena rientrata alla sua dimora, Elisabetta apprese l’orribile notizia dell’assassinio del suo sposo. Profondamente scossa dall’orrore e dall’enorme dolore, la santa Donna ritornò disperata dal figlio col proposito di passarvi il re­sto dei suoi giorni. Non molto tempo dopo ella morì nel deserto e fu sepolta dall’Esseno dell’Oreb. Giovanni, rimasto senza genitori, si addentrò ancor più nel de­serto. Lo vidi aggirarsi sulla sabbia in riva ad un piccolo lago, infine si immerse nell’acqua, mentre i pesci gli accorrevano vicino come vecchi amici. Il Battista visse presso quel lago per molto tem­po; nel bosco vicino si era costruito con rami d’albero una rudi­mentale capanna per viverci e trascorrere le notti. La capanna era bassa ed angusta, bastava appena come meschino giaciglio. Spiriti ed Angeli aureolati e vestiti di luce chiarissima venivano a trovarlo; il predecessore di Gesù parlava spesso con loro senza timore o stupore, ma con umile devozione. Pareva che quegli spiriti gli insegnassero molte cose e specialmente richiamassero la sua attenzione su certi oggetti degni di partico­lare considerazione.Il suo bastoncino, al quale era assicurato il ra­moscello collocato orizzontalmente con scorze d’albero, aveva as­sunto la forma di una croce. Una nipote di Elisabetta era andata a vivere nella dimora disabitata in Juta. Questa casa era disposta assai bene. Quando Giovanni si fece adulto andò per l’ultima volta a rivedere il tetto paterno, poi si allontanò internandosi nel deserto dove rimase finché ricomparve nel mondo degli uomini.(continua)

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