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La vita di Adele

Creato il 27 dicembre 2013 da Arpio

fotogramma-la-vita-di-adeleFinalmente sono riuscito a vedere questo film tanto acclamato e tanto celebrato. Questo sarà, prevedibilmente, l’ultimo film del 2013 che guarderò che quest’anno, quindi a breve potrò dar vita anche alle due classifiche del best e worst dell’anno che tanto attendevo. La vita di Adele, che già preannuncio rientrerà tra i film più belli dell’anno che si va concludendo, è uscito un mesetto fa, ma ancora non si riusciva a trovare in giro, per non so quale oscuro motivo. Molti lo definiscono un capolavoro, altri semplicemente un bel film, io mi sento di schierarmi con la seconda scuola di pensiero. E’ un gran bel film, ma per parlare di capolavoro servirebbe altro, molto altro. La pellicola, però, dà vita a quello che penso da tempo: i gay sono i nuovi afroamericani. Se prima, infatti, nei film c’era l’immancabile nero in un gruppetto di soli bianchi, ora che le differenze razziali sembrano essere risolte, si passa al distinguo sessuale e nei film per gggiovani ci deve essere sempre almeno un omosessuale, cosa che trovo abbastanza triste e razzista, come lo era per l’immancabile nero.La trama da qui in avanti sarà completa, spoiler inclusi: Adele è una liceale che vive a Lille, piccola cittadina francese. Ha una vita normalissima: famiglia medio-borghese, amiche, un ragazzo che le va dietro. Il ragazzo le chiede un appuntamento e lei, spinta dalle amiche, accetta. Mentre si reca all’incontro, però, incrocia lo sguardo con una strana ragazza dai capelli tinti di blu e sente qualcosa muoversi dentro. L’appuntamento continua, i due si baciano, ma Adele sente che manca qualcosa. Anche dopo aver fatto sesso, non si sente bene con se stessa e quindi lascia il ragazzo. Durante un’uscita con un suo amico gay, infine, Adele si allontana ed entra in un bar frequentato da donne gay. Lì ritrova la ragazza dai capelli blu, Emma, con la quale intraprende un’amicizia, che presto sboccerà in amore. C’è un salto temporale e mentre Emma è diventata una pittrice affermata, Adele realizza il suo sogno di fare la maestra d’asilo. La protagonista è contenta, ma Emma crede che quel lavoro sia un ripiego. Le due si allontano un po’, ognuna presa dal proprio lavoro, ma Adele si sente frustrata e si abbandona al corteggiamento di un suo collega di lavoro. Alla fine confessa tutto ad Emma, che nonostante abbia già intrapreso un flirt con un’altra donna, si arrabbia e la caccia via. Dopo un altro salto temporale le due si ritrovano e l’attrazione è ancora forte, ma Emma dice ad Adele che non l’ama più. Tutto è cambiato e perduto.

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Tratto da una graphic novel dal titolo “Blu è un colore caldo”, quello di Adele altro non è che un romanzo di formazione in versione filmica. Due ore e cinquanta minuti di crescita interiore, di scoperta personale dell’Io. Dai primi dubbi, alla scoperta dell’attrazione, all’amore saffico, fino alla sua amara conclusione. Una storia senza lieto fine che ci racconta l’amore, omosessuale o eterosessuale che sia. Notevoli le trovate della sceneggiatura per la maturazione finale della protagonista: dalla prima notte tormentata nella quale si tocca nel sonno pensando alla ragazza che ha intravisto per strada, fino alla mostra finale di Emma, nella quale Adele si sente estranea ed emarginata nonostante compaia in ogni dipinto della ex.
Ma la vera forza del film risiede nelle due donne che lo animano. Adele, che scopre la sua sessualità quasi per caso e grazie al mondo troppo giovanile che la circonda è costretta a vivere la relazione quasi in maniera clandestina. Emma, sicura di sé e dei suoi sentimenti per Adele, ma soprattutto sicura della sua sessualità, un traguardo al quale la protagonista si avvicinerà senza raggiungerlo mai. Forti e crude anche le scene di sesso, sia quelle etero iniziali fra Adele e il ragazzo del liceo, sia quelle saffica con Emma, nella quali nulla è lasciato all’immaginazione. Il regista ci mostra l’atto sessuale quasi nella sua interezza, cosa che a quanto ho capito ha abbastanza sconvolto le due attrici, che hanno tirato su un pippone grandioso, smosciatosi da solo poco dopo.

L’eccessiva durata purtroppo si sente molto, anche perché il tema non è di facile interiorizzazione e spesso ci sono lunghe chiacchierate interminabili sulla filosofia e l’arte (roba che a una certa pensavo di star guardando The Addiction di Abel Ferrara). Molto belle, invece, le inquadrature di Abdellatif Kechiche, il regista franco-tunisino, che rendono la storia quasi opprimente. Kechiche, infatti, si concentra sui volti, le inquadrature ad ampio respiro sono pochissime se non assenti. Il primo piano sembra essere d’obbligo e tutto è visto da vicinissimo. Ogni dubbio, ogni emozione e ogni pensiero di Adele lo ritroviamo sul volto dell’attrice, ben inquadrato per far risaltare quella particolare emozione.



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