
Forse sarei stata più “sul pezzo” parlandovi dell’evento della scorsa settimana, l’uscita di The wolf of Wall Street di Martin Scorsese con il mio amato Leonardo Di Caprio, ma se devo essere sincera l’evento cinematografico della settimana per me è stato La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, vincitore della Palma d’Oro allo scorso Festival di Cannes, che purtroppo sono riuscita a vedere solo con grande ritardo. E non mi stupisco affatto che abbia ottenuto una delle onorificenze più ambite del panorama cinematografico perché si tratta di una pellicola indimenticabile.
Molto si è discusso sulla tematica affrontata, ovvero la relazione omosessuale tra una giovane studentessa di Lille, Adele, interpretata da una straordinaria Adèle Exarchopoulos, attrice pressoché esordiente, ed Emma, Léa Seydoux magnifica anche con i capelli blu. In realtà questo film parla semplicemente di amore, un amore straordinario a prescindere dall’orientamento dei personaggi, a prescindere dai pregiudizi, a prescindere da tutto: è semplicemente un film che parla d’amore.

La storia è divisa in due capitoli. Nel primo viene raccontata magistralmente la difficile adolescenza di Adele, divisa tra le convenzioni della società in cui vive ed il suo straripante amore per Emma, con la quale ha un colpo di fulmine semplicemente incrociandola per strada. Le certezze di Adele crollano dopo quello scambio di sguardi, dopo che il blu dei capelli e degli occhi di Emma entrano in lei e le portano via qualcosa.
«Vagava con un cuore a cui mancava qualcosa e non sapeva cosa»
Non potendo resistere all’amore che prova, Adele cerca Emma fino a trovarla e da quel momento inizia la loro relazione passionale ed intensa, scandita da una carnalità poetica e mai volgare e dalla gioia del blu, quel colore che rappresenta la libertà, la voracità nei confronti della vita di Emma che travolgono anche quella di Adele.
Il secondo capitolo racconta quello che succede dopo, quando Adele ed Emma vivono assieme, quando lavorano, l’una come modesta insegnante di scuola elementare, l’altra come talentuosa pittrice. Ma Emma non ha più i capelli blu, ora sono biondi, più convenzionali, più da persona matura com’è diventata lei stessa, dedicandosi strenuamente alla sua arte e trascurando Adele che per questo si sente abbandonata e la tradisce con un collega di lavoro. Così Emma la caccia, anche se il tradimento sembra più un pretesto che un motivo: un pretesto perché Adele è troppo semplice, troppo borghese, troppo poco artista ed ambiziosa per lo stile di vita che Emma desidera. L’ostentato anticonformismo di Emma è una maschera in forte contrasto con il reale anticonformismo di Adele che non sa di cosa parlare a proposito di arte, di letteratura, di cinema, ma sa vivere, senza pensare, senza costruire una realtà fittizia di immagine, perché Adele è, Adele vive, Adele ama, Adele soffre. Ed alla fine Adele sprofonda in una struggente depressione, senza riuscire a dimenticare l’amore per Emma, l’unico amore che abbia mai provato, anche quando quest’ultima ormai si è fatta un’altra vita, molto più convenzionale di quanto avrebbe mai potuto immaginare, fatta di una nuova compagna come lei pseudo-bohemienne, un figlio, una carriera e sesso noioso, senz’anima. Per quanto sia dura da ammettere per Emma la sua passione per l’inadeguata Adele non è morta ma lascia traccia sulle tele che dipinge in cui la sua più travolgente amante non manca mai.

Questo film è un piccolo capolavoro in ogni sua parte. Alla maggioranza degli spettatori è piaciuto di più il primo capitolo che mette in scena l’adolescenza con tutti i suoi problemi con un lirismo che mai avevo visto per un argomento simile. La nascita dell’amore tra Adele ed Emma è qualcosa di sublime, sia per le parti più strettamente sentimentali che sono capaci di trasmettere attraverso le immagini e le poche salienti battute cosa significa innamorarsi, sia le molte parti dedicate al loro intenso amore fisico: le sequenze dedicate al sesso tra Adele ed Emma sono lunghissime, perfettamente esplicite, riprese a pieno campo; interi minuti dedicati alle due giovani donne che si amano anima e corpo, in maniera vorace, senza fermarsi, godendo l’una dell’altra in un atto di perfetta fusione mistica. Ma ovviamente la parte che io ho preferito è la seconda, in cui Adele, abbandonata, cerca di sopravvivere alla fine del suo rapporto e lo fa con una estrema forza d’animo che però non le permette di non soffrire. Non può dimenticare il più grande amore della sua vita, neanche quando Emma le dice che non la ama più, che adesso ama un’altra. Il dolore di Adele è straziante, per lei e per chi la guarda e neanche la consapevolezza che Emma non l’ha dimenticata ma che anzi la ritrae sempre nei suoi quadri può colmare quell’imperituro vuoto che si porterà in eterno dentro.

Non si può dire a parole quanta meraviglia risiede in queste tre ore di film, allo stesso tempo carnale e sentimentale, come a dire che nessun sentimento può nutrirsi solo di se stesso e che la sessualità non è qualcosa di secondario, è qualcosa di altrettanto dignitoso quanto l’amore ed anzi si eleva oltre l’amore rappresentando la fusione di anima e corpo con una potenza indescrivibile se non attraverso le sensuali pitture di Egon Schiele.
Egon Schiele, L’abbraccio, 1917
Le interpretazioni di Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux sono qualcosa di gigantesco: concrete, coinvolgenti, estenuanti nel loro realismo, esaltate dall’intensa regia di Kechiche che indugia volontariamente sui loro volti, sulle loro bocche, sui loro corpi, quasi avesse il desiderio di fare entrare lo spettatore nel personaggio, cosa che personalmente mi è accaduta.
La vita di Adele non è un semplice film, è quello che io definisco un’esperienza, che lascia un segno, non marginale, dentro a chi lo guarda, dentro a chi ha la sensibilità per comprendere quanto devastante può essere un vero amore.





