LA VITA DI EDGAR WALLACE raccontata da LUIGI MOTTA.

Creato il 14 luglio 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

(per questo articolo, scritto da Luigi Motta – Bussolengo – Verona 1881; Milano 1955 -, e tratto dal sito Episteme, ringrazio la disponibilità del mio carissimo amico di sempre il prof. Umberto Bartocci, a cui mando un forte abbraccio).

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WALLACE PUÒ ESSERE certamente considerato come un vero fenomeno, nel campo della letteratura popolare. Wallace – tutti i nostri lettori lo conoscono – è il magico creatore del romanzo giallo. Ma non tutti i nostri lettori forse saranno invece riusciti a farsi un’idea dell’Uomo, leggendo i suoi romanzi, dal “Cerchio Rosso” ai “Quattro uomini giusti”, leggendo le sue storie grandiosamente inquadrate in ambienti suggestivi; come la Borsa, il Turf, le immaginose invenzioni chimiche della “Peste su Londra», le fantastiche vicende di falsari di “Dieci anni di galera”.

Diremo subito che ci sono dei punti di convergenza e di divergenza, tra la realtà e la fantasia di Edgar Wallace. Punti di convergenza: le corse, i cavalli di cui Wallace era un grande appassionato, sino al punto di possedere una scuderia propria, le operazioni finanziarie in Borsa, il gioco, l’emozione continua di una vita senza soste e senza respiro.

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Ancora oggi è vivamente ricordato il ritorno a Southampton del transatlantico “Berengaria”, con la bandiera a mezz’asta, che recava la salma del geniale scrittore, spentosi improvvisamente a Hollywood, dove la sua seconda moglie stava per raggiungerlo, intendendo trascorrere con lui una vacanza sotto il bel sole della California.

La salma di Wallace tornò in Inghilterra sul “Berengaria”. Su quella stessa nave su cui tre anni prima era partito, occupando l’appartamento reale, per le maggiori glorie di Hollywood. E quel suo arrivo in America era stato un trionfo. Così come il suo ritorno in Inghilterra era stato un grande lutto.

Morendo con l’incubo di un terribile e interminabile mal di capo, Edgar Wallace aveva pagato lo scotto di una vita che gli aveva dato tutto, ma che era stata troppo intensamente ed emotivamente vissuta.

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Sua madre apparteneva a una compagnia di guitti. Il piccolo Edgar era nato dall’unione con un compagno d’arte, a cui la madre fece ignorare l’esistenza del bimbo, al fine di non turbare i propri rapporti con la madre del compagno, che era la capocomica della compagnia. Si dice che il piccolo Edgar ereditasse dall’ava l’ingegno e il carattere.

Edgar Wallace non fu allevato dai genitori, ma dalla moglie di uno scaricatore di pesce. Donna rozza, ma piena di cuore, che tenne Edgar come uno dei suoi numerosi figli.

Edgar piccolo frequentò le scuole elementari, ma a dodici anni, dovendo guadagnarsi la vita come i suoi fratelli e sorelle di adozione, si mise a vendere giornali su una cantonata di Londra dove più tardi fu murata una lapide in sua memoria. Non aveva certo vergogna di quel mestiere, ma la madre adottiva, alla quale la professione di giornalaio non sembrava molto decorosa, lo spinse a diventare garzone di porto. Ma questo era solo il principio di una lunga e varia carriera perchè divenne poi fattorino di piazza, lattaio, commesso in un negozio di calzature, mozzo a bordo di una barca da pesca, aiutante di un capomastro, manovale ecc. ecc. In nessuno di questi mestieri trovò quello che veramente gli si confacesse, tanto che divenne insofferente di quella vita meschina.

Venne il giorno in cui prese una grande decisione, e si arruolò nell’esercito. Nei ritagli di tempo concessigli dalle gravose fatiche militari egli trovò modo di scrivere qualche canzonetta, di cui una fu accettata da una cantante in voga. Credeva di aver già compiuto un passo avanti nella via del soddisfacimento delle sue aspirazioni, quando scoppiò la guerra anglo-boera ed il suo reparto fu inviato nel Sud-Africa. Trascorse alcuni mesi oscuri ed infine la sua richiesta di diventare corrispondente del Transvaal fu accettata dall’agenzia giornalistica Reuter di Londra. Così oltre allo stipendio di sotto ufficiale del corpo sanitario, si ebbe anche le venticinque sterline mensili della Reuter.

Come giornalista rilevò buone disposizioni. Fu il primo a comunicare parecchie notizie, e riuscì in tal modo a dare dei punti ai più vecchi e incalliti corrispondenti di guerra degli altri giornali.

Tornato in licenza a Londra per tre mesi, trovò un editore coraggioso il quale volle pubblicargli una raccolta di poesie intitolata “Scritti di caserma”. La raccolta non ebbe affatto successo. Di due mila copie se ne vendettero molto meno di mille. Ciò ebbe il potere di deprimere fortemente il nostro Edgar, il quale non trovò consolazione neanche nelle vicende sentimentali di quei tempi. Infatti aveva conosciuto, durante la licenza, tre graziose sorelle: le sorelle Frisby. Una di esse gli era particolarmente cara: Giulia. Prima di ritornare nel Sud-Africa, in una sera d’autunno, Edgar prese la mano della fanciulla chiedendole timidamente se lo avrebbe aspettato. Giulia gli rispose che era troppo giovane per pensare al matrimonio. Edgar non insistette ma nè Giulia nè le sorelle da quel giorno lo videro più.

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Tom Marlow, il direttore del Dail Mayl [Daily Mail], fu forse il primo ad avere una qualche fiducia in Edgar Wallace, nominandolo corrispondente e dandogli mano libera per la nuova campagna contro i Boeri nel Sud-Africa.

Le sue brillanti corrispondenze procurarono a Wallace elogi ma anche biasimi dagli avversari e persino una citazione, quando il Daily Mail pubblicò alcuni rapporti sensazionali. Mentre Edgar Wallace si trovava nel Transvaal settentrionale a caccia di notizie, si inasprì una guerra sorda che diede modo a Wallace di scrivere un articolo sulla corruzione della Censura stigmatizzando Lord Kitchener che “non riteneva abbastanza importanti certe notizie per telegrafarle al Ministero – mentre egli scriveva: “io le credo abbastanza interessanti per informarne il mio giornale”.

Intanto la guerra boera volgeva al termine e i corrispondenti attendevano con ansia di essere i primi a telegrafare la conclusione del trattato di pace. Edgar aveva avuto una idea molto sottile, da romanzo giallo. A un fido commilitone, che faceva la sentinella nel campo in cui si discuteva il trattato di pace, aveva fornito tre fazzoletti: uno rosso, uno bianco e uno turchino. Il rosso significava “niente di fatto” il turchino “c’è qualche progresso” il bianco “il trattato sta per essere definitivamente firmato”. Ogni giorno Edgar con la pipa in bocca, leggendo innocentemente un giornale, faceva il viaggio da Pretoria a Waal River e la sentinella passeggiando lungo la siepe di filo spinato si soffiava il naso con un fazzoletto colorato. Per questo, alla fine della conferenza, era stato possibile al giornale di Wallace pubblicare la notizia della pace ventiquattro ore prima della comunicazione ufficiale. Il suo giornale, ch’era stato violentemente attaccato con l’accusa di corruzione, pubblicò qualche giorno dopo tutta la storia e Wallace divenne in un sol colpo un eroe per gli uni e un traditore per gli altri.

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Durante la sua permanenza nel Sud-Africa, a Città del Capo, Edgar aveva sposato Ivy che dovette poi rimanere da sola in un piccolo bungalov, dovendo Edgar partire per i suoi impegni giornalistici.

Fu solo dopo la pace che Edgar ebbe la gioia di tornare dalla moglie, la quale gli aveva regalato una bimba. In quel tempo gli venne fatta l’offerta di dirigere un nuovo giornale che avrebbe dovuto essere il maggiore quotidiano di Johannesburg col titolo “Rand Daily Mail”: stipendio, la fantastica cifra di duemila sterline annue, ciò che era veramente prodigioso per un giovanotto di ventisette anni! Doveva allora recarsi a Londra per accomiatarsi dal Daily Mail e presenziare al banchetto col quale la direzione si proponeva di onorarlo. Lord Kitchener rimuginava il dispetto per il cattivo scherzo fattogli dal giovane Edgar a proposito del trattato di pace e pensava di vibrare un colpo mortale alla carriera del giornalista che aveva saputo abilmente sfuggire le forche della censura. Con una sua lettera del 1° luglio 1902 l’ufficio censura di Johannesburg gli comunicava la sua estromissione dal ruolo di corrispondente di guerra e la sua eliminazione dalla lista dei proposti per la medaglia commemorativa. Ma Edgar se ne infischiava. Portò la lettera, che lo divertì moltissimo, a Londra, commentandola semplicemente al banchetto con questa frase: “Non si sa se essere divertiti o rattristati dalla puerilità del Ministero della Guerra”.

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Fu da allora che la sua vita prese un ritmo vertiginoso. Da giornalista divenne scrittore, sempre assillato dai bisogni, data la sua vita oltremodo dispendiosa. Aveva pensato di scrivere una commedia “Cecil Rhoders” [Rhodes] perchè il teatro era divenuto la sua ossessione, ma il bisogno dell’immediato guadagno lo spinse ad accettare un posto di corrispondente nel Marrocco.

Inoltre sperava nel successo de “I quattro uomini giusti” un romanzo che avrebbe avuto la particolarità di dare al pubblico il destro di risolvere il mistero, concedendo al solutore un premio che, dapprima concepito in mille sterline, si ridusse poi a cinquecento divise in vari lotti. Il romanzo era basato non solo sul mistero ma anche sul delitto. Sangue e delitto e tre assassinii in ogni capitolo: “i tempi sono così pazzeschi che non dubito neanche un momento del mio successo”, così scriveva. Ma non ci fu il successo finanziario: “tutto quello che so è che in questa settimana le mie tempie sono diventate grigie. Dio, Dio come mi sento vecchio”.

Era subentrato un periodo di depressione. La TALLIS PRESS, la Casa Editrice di sua creazione che aveva lanciato il romanzo, si era coperta di debiti dai quali si liberò con la meravigliosa fantasia di Edgar e l’aiuto di Sir Alfredo Harmsworts, direttore del Daily Mail. Veramente questo primo romanzo aveva suscitato grande interesse e si vendeva magnificamente. Il male si è che troppe erano state le spese di pubblicità le quali assorbivano i guadagni rendendo la posizione insostenibìle.

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Edgar aveva un insaziabile sete di vivere, che Ivy, sua moglie, non aveva potuto soddisfare. Il lavoro assorbiva le energie di Edgar ponendolo a contatto con persone che sua moglie non poteva comprendere, disperata perchè non sapeva crearsi delle amicizie mentre osservava con invidia, con quale facilità Edgar ispirava ad altri amicizia ed affetto. Ella era tristemente cosciente di non essere la moglie adatta per lui. Nell’estate del 1918 una domanda di divorzio fu presentata e la sentenza si ebbe nel giugno seguente. Disgraziatamente questo segnò il principio degli anni più dolorosi della vita di Ivy e un periodo di sofferenze che terminò soltanto con la sua morte.

Edgar era ormai solo. La signorina King, che aveva assunto la direzione della casa e la cura dei bimbi, divenne la sua compagna e lo accompagnò in diversi viaggi in Svizzera. Ella era la sua segretaria e ad essa si aggiunsero altre due dattilografe che avevano il compito di ricopiare quanto egli dettava nel dittafono.

Wallace si alzava la mattina presto, a volte alle cinque o alle sei perchè dormiva raramente più di cinque o sei ore. Aveva l’abitudine di sonnecchiare cinque minuti in qualunque momento della giornata e ignorava cosa fosse l’insonnia. La sera il suo compito principale era di disporre nel caminetto giornali e legna perché Edgar amava molto il caldo, fiammiferi sulla mensola e theiera e bollitore elettrico pronti.

Quando appariva alle otto di mattina per la colazione, la segretaria trovava Edgar seduto alla scrivania, in vestaglia, circondato da una nuvola di fumo di sigaretta e col lavoro di due o tre ore già pronto: una pila di manoscritti e cilindri del dittafono pure pronti per la copiatura. La theiera era vuota. Dopo colazione Edgar faceva il bagno e si radeva. Trovava scomodo lavorare col colletto e la cravatta e talvolta restava tutto il giorno in veste da camera. Ciò che gli necessitava per una giornata di lavoro era una comoda sedia girevole, una grande scrivania, la vestaglia, sigarette e un’enorme quantità di thè. Era astemio, ma avido di thè. Il fumo gli produceva una sete irritante che estingueva soltanto col thè leggero, abbondantemente zuccherato e diluito con latte.

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Fu nell’inverno del 1919 che riprese ad occuparsi febbrilmente·di teatro. Alberto De Courville famoso impresario decise di utilizzarlo per la grande rivista: “La trottola”. Accettò con entusiasmo, scrisse scene, ma come avviene per le riviste, tutto fu creato in palcoscenico durante le prove. Edgar era diventato un magnifico anfitrione e tutti i sabati ballerine e coriste affollavano la sala da pranzo del “Clarence Gate Gardens” dove veniva loro offerto arrosto freddo e gelati, e lo scoppio dei turaccioli dello champagne era salutato da grida di gioia. Innamorato del teatro, volle scrivere una commedia comico sentimentale “Il mistero delle tre quercie” che fu accolta severamente dalla critica e dopo due settimane venne tolta dal cartellone.

Quindi Edgar pensò che non vi era altro da fare che produrre novelle, romanzi e articoli a getto continuo e A. S. Watt divenne suo agente letterario. Aveva già scritto ventotto romanzi, venduti tutti per settanta od ottanta sterline senza percentuali. Fu Watt che combinò un colloquio con Sir Ernesto Hodder-William, capo della Casa Editrice Hodder & Stoughton. Fu concluso un contratto per sei romanzi: compenso duecento cinquanta sterline sui diritti d’autore per ciascun lavoro oltre la consueta percentuale sulla vendita del volume. Una intuizione profetica disse a Sir Ernesto che in quell’uomo già vicino alla cinquantina, che non aveva avuto ancora grandi successi, vi erano le qualità atte a farlo diventare uno dei più grandi romanzieri popolari del mondo. Uomo meraviglioso questo Sir Ernesto; DEUS EX MACHINA del romanzo moderno, convinto che il maggior successo sarebbe stato nella quantità della produzione piuttosto che nella sua qualità letteraria. Nell’opera di Wallace vedeva il successo determinato dall’interesse, dall’azione, dall’eccitamento umanizzato da un facile umorismo. Ciò che occorreva era la quantità per innondare il mercato e penetrare in un pubblico vastissimo come nessun editore aveva mai sognato.

Avvenne che mentre certi scrittori aspiravano a migliaia di lettori Edgar invece aspirò a milioni. Ma l’affarismo editoriale gli aveva dato modo di aprire gli occhi, tanto che qualche tempo dopo scrisse a Sir Ernesto: “quanto al nuovo contratto sarò ben felice di firmarlo. Vi assicuro che mai più mi allontanerò dal sentiero della virtù vendendo il mio magnifico ingegno agli affaristi del mondo editoriale. Prima di conoscerla non avevo mai saputo cosa fossero i diritti d’autore”. Dalla data di questa lettera pubblicò non meno di quarantasei volumi e la vendita di essi si conta a milioni di copie. Ma è doveroso dire che in ventisette anni pubblicò più di cento cinquanta opere, e tutto questo mentre frequentava i campi di corse e viaggiava durante l’inverno in Svizzera… apparentemente in vacanza!. Non camminava. Aveva l’abitudine di prendere un taxi per evitare di percorrere cento metri. Si vantava di fare a piedi non più di quattro chilometri all’anno e fu senza dubbio questa mancanza di esercizio che produsse verso i cinquant’anni la sua corpulenza. Il suo metodo di lavoro era preciso. Una volta pronunciata nel dittafono l’ultima parola di un racconto questo per lui era finito. E allora toccava ai suoi fidi trasformarlo in manoscritto, punteggiarlo e correggerlo dagli errori.

Lavorando con tale velocità accadeva che i personaggi cambiassero nome due o tre volte durante il romanzo, e allora era il suo fido e intelligente dattilografo Curtis che, pur trascurando gli errori di grammatica, che non erano considerati cosa importante nè dall’autore nè dall’editore, metteva le cose a posto.

Pur non essendo il più prolifico degli autori moderni, Edgar Wallace, ebbe questioni violente: fu accusato di avere dei “negri”, cioè aiutanti o addirittura creatori del lavoro a cui per evidenti ragioni commerciali prestava il proprio nome. Fu accusato persino di plagio, ma vinse sempre le sue battaglie.

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Sembra impossibile, ma questo prodigioso uomo, che lavorò febbrilmente tutta una vita e guadagnò milioni, era sempre alle prese col bisogno. Ultimamente, in un breve viaggio tra Southampton e Cherbourg scrisse un articolo, un romanzo intero, un racconto di ventimila parole, un dramma in tre atti e una trasmissione radio, il tutto per pagare un forte debito che lo attendeva sulla sponda francese della Manica.

Ma i periodi di miseria nera non lo fiaccavano, come nei primi tempi gli insuccessi non erano riusciti a farlo desistere dalla sua strada.

Hollywood divenne alla fine la sua sede preferita. Frutto della sua fantasia fu il soggetto cinematografico di “King-Kong”, lavoro pauroso che diede il brivido a milioni di spettatori.

E a Hollywood Edgar Wallace morì.

Una sera stava aspettando una attrice che aveva invitata per cena. Un terribile mal di capo lo aveva costretto a passare parte del pomeriggio al buio, sul letto, dopo aver ordinato al suo fido cameriere Robert, di chiamarlo se la signora avesse telefonato.

Alle cinque del pomeriggio l’attrice aveva fatto sapere che, non potendo venir per cena, sarebbe passata in serata.

Il mal di testa aumentava.

C’era in lui la frenesia dell’attesa. Il suo orecchio era attento al telefono e al campanello della porta. Alle dieci Robert fu mandato a casa dell’attrice. Tornò recando la notizia che ella non era rientrata. Edgar se ne andò a letto, ordinando a Robert di chiamarlo se avesse sentito l’automobile della signora. Poco prima di mezzanotte Robert ch’era rimasto in cucina a leggere, facendo il giro della casa per chiudere porte e finestre, fu stupito nel trovare spalancato il portone da cui entrava un gelido vento. Uscì fuori e si spaventò nel vedere Edgar ravvolto nella sua vestaglia di seta che passeggiava su e giù, evidentemente in attesa dell’automobile.

Alle cinque del mattino chiamato dal campanello di Edgar, Robert si recò nella camera, e trovò lo scrittore che aveva cercato di alleviare il proprio mal di capo avvolgendo la testa in un asciugamano bagnato nell’acqua fredda. Edgar era in preda al delirio. Robert chiamò un dottore. Il resto della notte passò in tentativi inutili di cura. Vennero altri due medici. Divenne evidente un attacco di polmonite doppia. Si somministrò l’ossigeno che risollevò momentaneamente il fisico di Edgar. La sua seconda moglie era in Europa. Curtis le telegrafò immediatamente, ma intanto lo scrittore peggiorava. Edgari era ormai nell’incoscienza più profonda, ma non meno dolce del sonno naturale. Il suo nobile cuore cedeva poco a poco, insensibilmente, come una molla che si allenta. Al suo fianco l’attore cinematografico Walter Houston, suo amico, Robert e Curtis. Rimasero tre ore accanto al capezzale del dormiente e nessuno si accorse del momento in cui quel sonno tranquillo divenne la morte.

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Così passò nell’al di là il prodigioso narratore. Alla sua morte si trovò una somma favolosa di debiti: 140 mila sterline. È strano che per la costituzione della Società Anonima R.O.E. Wallace, questi fosse creditore di se stesso! Ma la rendita delle sue opere era enorme. In breve mercè i crediti la differenza fu ridotta talmente, che nel marzo 1934, esattamente due anni e un mese dopo la morte di Wallace tutti i creditori erano soddisfatti. Bryan, Patrizia, Michele e Penelope, i quattro figli di Edgar Wallace, divennero gli eredi delle opere del grande scrittore, poichè la seconda signora Wallace, sopravvissuta solo quattordici mesi al marito, raggiunse nel regno delle ombre eterne il meraviglioso scrittore, creatore del romanzo giallo. Instancabile scrittore, esempio luminoso di una operosità senza l’eguale.

Featured image, una rara foto di Luigi Motta che ho trovato in Rete. Se vi fossero dati mancanti sull’autore per favore comunicatelo scrivendo a redazione.rosebudatyahoo.com (sostituire at con la chiocciola).

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