A me Cristiana Capotondi è sempre piaciuta: nella mia immaginazione occupa quella landa desolata dell’eros pre-adolescenziale, che si contende con Juliette Lewis nel bagno del camper di "From Dusk Till Dawn" e ovviamente "Like a Virgin" di Natalie Portman in "Leon": tutte insieme queste Lolite mi ricordano cosa pensavo di volermi aspettare da una ragazza, e quindi mi ricordano di me stesso a quindici anni; non che fossi bellissimissimo ma insomma, mi ricordo sempre con affetto.
Ancora di più però amo Pif, che col suo giornalismo sempre a metà tra il serio e il faceto incarna in prima persona quel quindicenne che ero, che aveva trovato nell’auto-ironia il modo per spostare il metro del confronto da Tutto Ciò Che Ha Valore al più facile Sympa. Eppoi Pif una di quelle Lolite la frequenta pure ora che – come direbbe lui – è fidanzzato con Giulia Innocenzi, di tutte le sexy idole di un ragazzino la migliore, dato che oltre a essere biondina combatte pure per il Vero ed il Giusto. Insomma io "La mafia uccide solo d’estate" io lo volevo proprio vedere.
Certo dal punto di vista strettamente cinematografico non ha la migliore fotografia del duemilatredici, nè il miglior trucco o effetti speciali – per quanto tutti questi aspetti reggono il film abbastanza bene; ma il meccanismo più riuscito è a ben vedere l’ambiguità tra il personaggio Pif (Arturo) del film, e il Pif del Testimone. Di fatto il buon Diliberto recita se stesso, un giornalista che si mette a confronto con la realtà, e nel farlo recita molti di noi – tutti quelli a cui piace Woody Allen – che sono stati bambini entusiasti e brillanti, adolescenti spauriti e che un giorno saranno, con un po’ di fortuna, uomini e donne coraggiosi. In questo passaggio sta tutta la forza del film. Infatti se seguiamo la proiezione di noi stessi, ci troviamo a contatto con tutte le vicende mafiose che sono protagoniste degli Anni di Piombo a Palermo, ma sempre dal punto di vista personale “nostro”: se ci riconosciamo in qualcuno che è entusiasta, che si innamora, che si mette alla prova e che qualche volta fallisce, allora non possiamo non confrontarci, nel film e quindi nella realtà, con la dimensione collettiva.
E questa è una conquista bellissima. Pur rimanendo noi stessi, con i nostri desideri personalissimi, siamo iscritti nella comunità e nella storia, e queste categorie ci appartengono. Certo è una banalità per molti, ma è un toccasana in quest’Italia post-berlusconiana divisa a forza in vent’anni tra i pochi che contano e i molti che si facciano i cazzi loro che a te ci devi pensare da solo che mica ci vengono a pensare i politici.
Per questi motivi, il film conferma l’interesse del grande Pierfrancesco Pif a ricucire lo strappo tra il buonsenso e l’intellettuale, già portato avanti con il Testimone, per intessere un terreno comune dove sia possibile la discussione, che poi non è altro che la democrazia – o quantomeno la celebre Piazza, seppur figurata, così indispensabile alla vita democratica. Ed è secondo me su questo terreno che a vari livelli si muovono gli intellettuali più interessanti di questi tempi: da Slavoj Zizek nel suo "The Pervert’s Guide to Ideology", alle conferenze di Robert Reich, è questa anche la grandezza de "La Vita è Bella", valsa l’Oscar a Benigni, che mette in scena lo stesso sforzo anche recitando Dante o la Costituzione; questo è lo sforzo a livello nazionale, generoso perchè gratuito, di intellettuali come Natalino Balasso e in architettura di Luigi Prestinenza Puglisi sui loro canali Youtube e Facebook, e più in piccolo di giovani blogger come Quit The Doner, e dello stesso Nicola Pedrazzi.
La loro missione, come le carovane dei film western, è di attraversare continuamente un deserto che qui sta tra il populismo e i Saggissimi, armati della cultura dei secondi e della vitalità dei primi: la loro sfida di essere semplici ma mai banali, esatti senza annoiare sempre esposti alla derisione grassa del popolo e all’attacco pungente di chi ha studiato. Io li ammiro molto, non come banali divulgatori ma come veri coltivatori di quel terreno comune di cui tanti parlano senza voler realizzare, che singolarmente ci aiuta a non essere scemi e come collettività a rimanere una democrazia.
Nicolò Lewanski