«Colpa, nel suo significato più ampio, è la vita in quanto tale. Ciò che già pensava Anassimandro ritorna – sebbene in un senso totalmente diverso – in Calderón: la più profonda colpa dell'uomo è di essere nato.
Ciò risulta anche dalla considerazione che io, per il solo fatto di esistere, sono causa di sventura. Espressione di un simile concetto è il pensiero indiano che con ogni mio passo, con ogni mio respiro io distruggo qualche minuscolo essere vivente. Ch'io faccia o non faccia qualcosa, sta di fatto che la mia vita provoca una riduzione della vita altrui. Tanto nell'agire quanto nel patire io mi macchio della colpa di esistere.
a) Una determinata esistenza può essere colpevole per la sua origine. Non l'ho voluta io, è vero, questa mia esistenza, come non ho voluto l'esistenza in genere. Eppure, sebbene involontariamente, io sono colpevole, essendo io colui che ha una tale origine. È la taccia di un'origine peccaminosa di cui i miei avi sono responsabili. […]
b) Ogni determinato carattere umano ha la colpa di essere quello che è. Il carattere stesso è un destino, se io mi distacco dal mio carattere come da una realtà estranea.
Ciò ch'io sono, il tipo umano a cui appartengo, come radice della mia volontà funesta, dell'ostinata tracotanza della mia natura malvagia, tutto questo io non l'ho voluto né prodotto. Eppure ne ho colpa. E dalla mia colpa nasce il mio destino, sia che muoia contro voglia, irredento, sia che soccomba ravveduto, uscendo dalla mia natura spinto da una causa più profonda, grazie alla quale rifiuto ciò che io fui, senza poter divenire ciò che vorrei».
Karl Jaspers, Del tragico, SE Studio Editoriale, Milano 1987 (traduzione di Italo A. Chiusano. Il testo originale è del 1952).