La mancanza della normalità e la tendenza a complicare le cose.
Uno dei tratti dominanti della vita del
carcere è dato dalla ripetizione dei comportamenti, sempre uguali,
codificati, esterni all'individuo, fuori dal suo controllo.
Dentro la cella, la sezione, il cortile dei passeggi, gli uffici carcerari non esiste la vita semplice, delle piccole cose, dove il normale e lo straordinario si incrociano nel ritmo ordinario della vita, scandito dalle possibili opzioni di risposta agli eventi, alle perturbazioni, agli incidenti.
La vita normale fuori dal carcere è
complicata, la vita dentro il carcere (fatto dai detenuti e fatto gli
operatori che nel carcere lavorano) non è semplice, ma semplificata
e ridotta alla mera adesione comportamentale a regole separate dalla
logica e dal pensiero.
Questo ritmo anormale è riempito da assurde complicazioni, che rendono tutto difficile, illogico, tragico, tortuoso.
Nelle relazioni interpersonali
soprattutto dominano le tragedie, il parlar male, le menzogne,
definire inimicizie e spargere veleno, usare gli altri per fini
secondi, mai chiari.
Non c'è chiarezza tra le regole delle relazioni interpersonali dentro il carcere, che non sono scritte, ma possono almeno essere rese fluide e possibili attraverso le parole, gli sguardi, la comunicazione delle emozioni.
Poche volte dentro l'Istituzione ho
visto la chiarezza, come atteggiamento e come coerenza, la chiarezza
dei comportamenti e nelle relazioni, che non esiste neppure nelle
cose scritte (anch'esse complicate e mai certe), che non esiste tra i
detenuti, che non esiste tra gli operatori, che non esiste.