Come incontrare un amico, anzi no, non un amico, un amico di un amico, un conoscente, lo incontri dopo anni, parlate un po’ insieme e poi pensi, ma perché ci siamo persi di vista? Di Aldo Nove avevo letto “Superwoobinda” e “Puerto Plata Market”, in un periodo, forse dieci anni fa, in cui divoravo libri e film, avevo letto quei due libri ma mi erano scivolati via, anche la loro presenza mi appariva invisibile ogni volta che scorrevo con gli occhi i titoli nella libreria (quella di legno), poi mi capita qualche giorno fa, in libreria (quella di cemento e carta), che i miei occhi vengano attratti da una mini pila di cinque volumi di “La vita oscena”, nascosti, infilati in basso, probabilmente in attesa di essere esposti più in vista, fra le ultime novità, come quando sei in mezzo alla gente e ti guardi intorno e incroci lo sguardo di qualcuno e… ciao… come stai?.. quanti anni saranno passati? E poi capita che quello cominci a parlare, e ti racconta la sua vita, e ti rendi conto che quell’amico di un amico, in realtà, non lo conoscevi affatto. E anche Aldo Nove racconta la sua vita, perché “La vita oscena” è la sua vita, una vita oscenamente drammatica e raccontata con oscena sincerità. La vita come una femmina gelosa, che ti sorride solo quando si avvicina un’altra donna, la morte. E poi poesia e pornografia. Un binomio che arreda lo spazio esterno del protagonista, attraverso libri e riviste, e lo spazio interno, sottovuoto spinto. Quello di Nove è un mondo post-moderno, tragicomico, disperato ma al tempo stesso predisposto alla speranza. Non è semplice leggere “La vita oscena”, bisogna avere spalle larghe e innocenza da bambino, una mancanza di sovrastrutture intellettuali che permetta di comprendere il mistero di un uomo che piange per una bottiglia di cola da discount: “Quella bottiglia mi sembrava simile alla vita dei più, di quelli che non ce la fanno, oh quanti, mi portava alla commozione e piansi. Era da tempo che non mi accadeva. Aveva quella bottiglia, qualcosa di cristiano, un’imago Christi da poveracci, incolpevole. Lei aveva fatto la sua ascesi dalla fabbrica ai banconi del discount dove aveva atteso di essere scelta in quanto oggetto di minor valore, in quanto imitazione ma dignitosa, quasi uguale, e si sarebbe manifestata nel suo splendore quando fosse riuscita ad assurgere alla stessa grandiosità del modello, e non ci sarebbe riuscita mai, povera bottiglia, e sarebbe rimasta una merce tra tante. Ma era mia. Era la mia bottiglia sul comodino dell’ospedale“. Questo è Aldo Nove, questo è l’amico di un amico che credevate di conoscere.
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