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No, io non ero nato né per imitare il mestiere di mio padre, né per condurre una vita tranquilla, troppo tranquilla
Ancora una volta sono tornato a leggere le lettere e le note autobiografiche di Emilio Salgari, uno scrittore, ormai lo dovreste sapere, che per me è stato assai più di uno scrittore, perchè a lui devo i miei sogni di ragazzino, i primi e più emozionanti viaggi della mia vita di esploratore di carta.
E come ti si stringe il cuore, ad andare oltre i romanzi per cogliere la storia della sua vita. Non che la sua sia stata una vita tranquilla. Però non è stata comunque la vita sognata, quella in cui avrebbe dovuto essere un capitano di lungo corso, un esploratore, un avventuriero.
Lui che scriveva:
Fin dalla più tenere età io avevo una passione bizzarra incomprensibile, cioé quella di farmi marinaio, di avere un giorno una nave da comandare, un equipaggio sotto di me, di scorrere gli ampii mari in cerca di avevnture, di burrasche, di vere emozioni
Le uniche emozioni invece furono quelle vissute sulla carta. Però ci credeva: questo era il suo dono e la sua condanna.
E lo so che ha ragione Silvino Gonzato, autore di una delle più belle biografie dedicate a Emilio:
Era uno di quei predestinati all’errare randagio nell’universo senza limiti della fantasia, che per lui cominciava là dove l’Adige, sboccando nel mare, incontrava i pantani coperti di crema vegetale della Malesia, le tempestose acque dello Stretto di Bering, le placide lagune dei Caraibi, e le navi condotte da capitani coraggiosi che continuavano a battere gli oceani con l’unica preoccupazione di fermarsi una volta l’anno per raccontare le loro avventure
Ha ragione, perché se nella vita di Emilio non risultano scorribande a cavallo, assalti lancia in resta, glorie di ussari e cavalieri, questo è solo quello che si dice noi: bene o male è come se ci siano state.
Ancora una volta sono tornato a leggere le lettere e le note autobiografiche di Emilio Salgari, uno scrittore, ormai lo dovreste sapere, che per me è stato assai più di uno scrittore, perchè a lui devo i miei sogni di ragazzino, i primi e più emozionanti viaggi della mia vita di esploratore di carta.
E come ti si stringe il cuore, ad andare oltre i romanzi per cogliere la storia della sua vita. Non che la sua sia stata una vita tranquilla. Però non è stata comunque la vita sognata, quella in cui avrebbe dovuto essere un capitano di lungo corso, un esploratore, un avventuriero.
Lui che scriveva:
Fin dalla più tenere età io avevo una passione bizzarra incomprensibile, cioé quella di farmi marinaio, di avere un giorno una nave da comandare, un equipaggio sotto di me, di scorrere gli ampii mari in cerca di avevnture, di burrasche, di vere emozioni
Le uniche emozioni invece furono quelle vissute sulla carta. Però ci credeva: questo era il suo dono e la sua condanna.
E lo so che ha ragione Silvino Gonzato, autore di una delle più belle biografie dedicate a Emilio:
Era uno di quei predestinati all’errare randagio nell’universo senza limiti della fantasia, che per lui cominciava là dove l’Adige, sboccando nel mare, incontrava i pantani coperti di crema vegetale della Malesia, le tempestose acque dello Stretto di Bering, le placide lagune dei Caraibi, e le navi condotte da capitani coraggiosi che continuavano a battere gli oceani con l’unica preoccupazione di fermarsi una volta l’anno per raccontare le loro avventure
Ha ragione, perché se nella vita di Emilio non risultano scorribande a cavallo, assalti lancia in resta, glorie di ussari e cavalieri, questo è solo quello che si dice noi: bene o male è come se ci siano state.
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