Magazine Diario personale
Ho addosso odore di cantina. Il sole mi sta riscaldando ma quando si entra nell'ingresso, già si può avvertire la frescura che trasuda dalle pareti. Vecchie mura di pietra, qualche crepa che stende le sue dita dal soffitto bianco di intonaco.
Le travi di legno scricchiolano ogni tanto. Hanno addosso il peso degli anni, testimoni silenti del della vita che passa.
La sera le pareti si dipingono di un intenso colore e le ombre sul pavimento accompagnano la silenziosa danza dei fiori, che lentamente prendono sonno al calare del sole.
Tutto è fermo, immobile, anche l'aria che, calda ed avvolgente, profuma di grano maturo.
Ricordo quando sentivo i passi al mattino. Quando ancora i primi raggi di sole stentavano da dietro il morbido colle. L'odore del caffè appena scaldato e della dolcezza del latte nelle caraffe di vetro. L'odore del pane appena sfornato ed il pungente profuno di legna dentro il camino. L'acqua che gelida scendeva nei catini di ferro. L'odore del sapone che riempiva le mani di bianco. La vita che prendeva il respiro, si alzava, scendeva le antiche scale di pietra ed usciva nella fresca aria di prima mattina.
Non ricordo chi fossero. Ma erano in quattro. Un giovane uomo e sua moglie. L'aspetto era quello di anziane persone, il viso segnato da profonde rughe scolpite dal sole e dalla fatica. Non so cosa facessero una volta usciti di casa. Non me lo sono mai chiesta. So che era bellissimo sentire le voci dei loro bambini, urlare e cantare. Rincorrersi nella cucina o cadere sfiancati sulle piccole sedie di paglia, dopo una giornata di corse nei prati. I capelli che brillavano al sole e le guance che parevano mele mature impresse sui loro visi di smalto.
C'erano. Vivevano.
Ho sentito le loro parole, le urla di gioia ed i momenti di pianto. L'intimità della buona notte e la scoperta del buon dì. Giorno dopo giorno, affacciata sui loro destini.
Poi non so cosa sia successo. Hanno iniziato a togliere mobili. Scatoloni che formavano pile grandissime sui pavimenti di cotto. Il fuoco del camino stava smettendo a poco a poco di scaldare l'ambiente. Sentivo parlare di trasferimento in città. Chissà perchè ho iniziato a sentire le pareti che si stringevano attorno...
Hanno tolto dei quadri e poi i lampadari, che hanno smesso di troneggiare dai soffitti delle stanze ormai ingrigite dagli anni. Borse e valigie ed un senso di vuoto incredibile stava iniziando a pervadere l'aria. Tremavo. Impietrita, tremavo.
Li ho visti partire un mattino di giugno.
Da allora i miei occhi hanno smesso di aprirsi. La luce ha smesso di entrare e le stanze hanno smesso di vivere.
Ho visto passare tante vite così. Una famiglia dopo l'altra.
Mi chiamavano "casa". Mi hanno sempre chiamata così. Qualsiasi fosse il colore delle pareti, o delle tende che scendevano lungo le grandi finestre ero "casa".
Ascoltavo i loro pensieri. Guardavo il loro vivermi dentro come fossi un nido d'amore o una semplice nicchia nella quale dormire. Ma c'ero. Ero li. Con la forza delle mie mura e con il vigore delle mie travi di legno. Io c'ero.
Ora ti aspetto. So che mi cerchi... ed io sono ad un passo da te.
Sto lasciando di nuovo che il sole mi scaldi. Le finestre e le porte pronte ad aprirsi con te. Le pareti stanno aspettando l'abbraccio delle tue cose.
Non so per quanto tempo vedrò le tue gambe stendersi su quel divano che tu chiami letto e non so per quante ore vedrò i tuoi occhi chiudersi al sonno. Io sono qui che ti aspetto.
Poi ci sarà tempo per salutare anche te... quando sarai pronta per un altro felice destino. So che lo aspetti, ti ho letta nel cuore.
Per ora ci sono. Sono "casa". E' così che la gente dice di me.
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