"Banalmente" perché tendo a scegliere i libri secondo miei personalissimi parametri, come leggere recensioni di persone di cui mi fido o di cui comunque conosco il gusto.
In ogni caso, partivo prevenuta nei confronti di questo libro. Eppure, eppure...alla fine mi son ricreduta. L'ho finito una settimana fa e ne scrivo la recensione solo ora.
Quello che mi ha fatto finire il libro in qualche giorno non è la brevità, saranno un centinaio di pagine, ma la scrittura.
Se tu te ne fossi scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie.Questo è l'incipit che apre il libro e che getta il lettore immediatamente nel mezzo della tempesta. Da queste poche parole capiamo già che: ci sono un marito e una moglie, la moglie è scontenta e ha da rimproverare qualcosa al marito - una scappatella?-, il marito sembra non avere diritto di replica.
Quest'ultima affermazione è stata una delle mie prime impressioni.
Continuando a leggere ci si accorge che lui, Aldo, non ha diritto di replica perché queste sono lettere. Lettere scritte da Vanda, risentita e amareggiata per il comportamento del marito: scappato con una ragazza molto più giovane di lui, abbandonando moglie e figli, due.
Domenico Starnone ci racconta una storia come tante se vogliamo.
Una storia di tradimento, dolore, rabbia. E usa parole taglienti: le lettere che Vanda scrive a Aldo sono piene di sarcasmo e rancore. Il dolore fa emergere il suo lato più fragile e meschino, mentre vacilla tra supplica e minaccia.
All'inizio, potremmo essere portati a fraternizzare con questa donna umiliata, potremmo volerci mostrare comprensivi, vorremmo esserle vicini. Veniamo però spaventati dal veleno che pagina dopo pagina inizia a sgorgare da queste lettere.
È il ritratto di una donna pronta a tutto, anche alle scorrettezze e al ricatto pur di riavere il marito.
E quello che ci domandiamo, da lettori, è ci riuscirà?.
Quello che dovremmo invece domandarci è che tipo di donna sia Vanda, se davvero lei sia una vittima. Saremmo portati a essere solidali con lei perché ricopre il ruolo del debole, viene naturale stare dalla sua parte contro il marito fedifrago. Spiazzano però le sue parole, dure, crudeli.
A leggere quello che scrivi, pare che io sia il carnefice e tu la vittima. Questo non lo sopporto. Sto mettendo tutto l'impegno di cui sono capace, mi sto sottoponendo a uno sforzo che nemmeno immagini, e la vittima saresti tu? Perché? Perché ho alzato un po' la voce, perché ho spaccato la caraffa dell'acqua? Devi ammettere che avevo qualche ragione.È brava con le parole, Vanda.
Proseguendo la lettura del libro conosciamo anche gli altri componenti di questa famiglia a pezzi.
Ci rendiamo conto che l'impronta del libro è data da questo primo capitolo, da queste lettere dimenticate. È Vanda il fulcro e di lei non avremo che questi brevi scritti.
Attorno a lei ruota un microuniverso dove le basta muovere uno sguardo per decretare vita o morte. Effettivamente Aldo sembra non aver diritto di replica, né ora né mai. Addirittura a fine libro ci pare quasi impossibile che quest'ometto opaco sia riuscito nell'impresa di abbandonare, così imbranato, succube, pieno di debolezze.
È un legame malato quello che unisce questa famiglia.
I lacci di cui si parla nel titolo sono particolare reale, un piccolo ma significativo episodio nella storia, e metafora: i lacci che danno l'impressione di piccole corde ruvide che opportunamente legate stringano talmente tanto da creare nodi che mai si riuscirà a slegare.
E rimanendo nella metafora, nodi che rimangono vittime di questo legarsi sbagliato della madre sono i due figli. Bambini quando il padre scelse un'altra vita, adulti quando si ritrovano insieme nella casa dei genitori, ricordando. La madre, il padre, la guerra. Usati come armi, strumenti da utilizzare bene per poter essere unanimemente giudicati buoni/cattivi gentiori; una partita che vede inevitabilmente il padre sconfitto, rinunciatario, arrendevole di fronte a una madre stratega che tuttavia non ha bisogno di dimostrare nulla perché lei è già madre, i figli sono cosa sua.
Lacci è il ritratto di una famiglia prigioniera di se stessa. Domenico Starnone non racconta una storia che sia valida universalmente per tutte le famiglie in crisi, no: racconta la storia di una sola famiglia, quella di Vanda, e di come sia riuscita a sgretolarsi, con le sue mani.
CI sono colpevoli? Può esser ritenuta solo Vanda la responsabile della sua infelicità e di quella dei suoi familiari? Oppure non sono stati complici anche il marito e i figli nella scelta di non recidere questo legame?
È un romanzo che lascia molte domande e supposizioni perché Domenico Starnone non ci offre che tre rapidi intensi sguardi, iniziando e finendo in medias res. È come sbirciare la vita dei vicini attraverso una finestra aperta che poi, improvvisamente, si chiude. Siamo curiosi di sapere cosa succederà, ma forse lo sappiamo già.