Quanto cazzo è brutto rimanere bloccati in casa per una cervicalgia mostruosa che ti fa venire voglia di spaccare il mondo e cacarci dentro. E’ un vero braccio nel culo: non puoi fare assolutamente niente, devi stare attento ad ogni minimo movimento e ti girano i coglioni ad elica. L’unico diversivo è trovare la posizione giusta ed eventualmente cazzeggiare al pc, cercando di passare il tempo in maniera più o meno rilassante. Questo in teoria, perché poi, all’atto pratico, ti attacchi a qualunque cosa pur di non farti soffocare dai tuoi stessi coglioni gonfi come due palle da basket, e girovagando incessantemente per i meandri di quel pozzo nero strabordante merda e carcasse che è la rete finisci inevitabilmente in “posti” che in condizioni normali avresti evitato come un su e giù senza guanto con una puttana nigeriana in una triste serata novembrina post-lavoro. Ti riduci persino ad ascoltare VII: Sturm und Drang, l’ultimo album dei Lamb of God, perché ti capita davanti per puro caso. E’ proprio allora che ti dici ok, dai, sentiamo com’è, tanto sono inchiodato qui e vaffanculo.
Nati come Burn the Priest nel ’94, i nostri famosissimi amici di Richmond, dopo un album omonimo, cambiarono nome nel ’99 ed esordirono come Lamb of God nel 2000. La cosa che mi colpì, ai tempi dei loro inizi, fu che ebbero molto successo anche in Europa, Italia compresa. L’enorme apprezzamento ricevuto negli Usa mi è sempre sembrato abbastanza normale, visto che da quelle parti hanno un folto pubblico di ragazzini che vanno dietro alla musica mainstream più o meno dura spinta dagli sponsor e dai canali tematici (minorenni con i dilatatori ed il cappellino da baseball storto in testa stile pubblico del Warped Tour e roba del genere, per capirci), ma non mi sarei mai aspettato che avrebbero riscosso successo anche da noi, dato che quel tipo di target qui è molto più ristretto e anche perché, oggettivamente, il pubblico metal europeo è tendenzialmente un po’ meno “generalista” e modaiolo rispetto a quello americano.
I Lamb of God sono sempre stati una bruttissima copia dei Pantera, con qualche accenno (molto) vagamente thrash e death qua e là ogni tanto, giusto per fare i duri in piazzetta il sabato pomeriggio con i ragazzini più piccoli. Questa formula viene ripetuta all’infinito in ogni loro disco che ho sentito e, come se questo già non bastasse per seppellirli sotto un cumulo di escrementi bovini, viene propinata alle masse in una maniera talmente piatta e scontata che ti fa chiedere ogni cazzo di volta come sia possibile che esistano persone al mondo che addirittura arrivino a spendere dei soldi per questa patetica robaccia da discount, venduta, per giunta, come se fosse di chissà quale grande marca. Una decina di anni fa uscì il loro terzo disco, quello con una sorta di fenice in copertina, e fu esaltato praticamente da chiunque. Io li conoscevo già e ne avevo una pessima opinione, ma per curiosità andai ad ascoltarlo e -indovinate?- era esattamente come gli altri, forse leggermente più vario, ma fondamentalmente la stessa robaccia trita e ritrita di cui sopra. Da quel disco non so cosa abbiano fatto, avendoli, dopo di allora, ovviamente lanciati nel dimenticatoio fino ad oggi.
VII: Sturm und Drang si presenta subito benissimo: titolo che più del cazzo non si può, copertina da testata sul naso e la Nuclear Blast come etichetta. Insomma: un trittico che ti si para davanti come i fari di un tir che ti viene addosso contromano in superstrada alle quattro di notte. Musicalmente invece c’è qualche novità rispetto al punto in cui io li avevo lasciati. Oltre alle caratteristiche citate poco sopra, sempre massicciamente presenti come lo stafilococco in un bordello congolese, i nostri amici decidono di mandarmi in overdose da putridume aggiungendo al pacchetto anche parti più melodiche stile metalcore recente. Beh, dai, mi sembra giusto: non bastava fare semplicemente schifo al cazzo, bisognava esagerare. Over the top, insomma. L’album -che ve lo dico a fare?- è qualcosa di apocalittico: un orrendo pastone del peggio del peggio del metal americano dell’ultima ventina d’anni. E’ un album imbarazzante, questo, in senso letterale: mi sono vergognato per loro per tutta la sua durata. Nella estenuante ora scarsa in cui nasce e (per fortuna) muore questo assurdo abominio, questi tristi personaggi si divertono ad offendere l’intelligenza del plancton proponendo, oggi, i Pantera del periodo Far Beyond Driven/The Great Southern Trendkill (usciti rispettivamente ventuno e diciannove anni fa, ricordiamolo) dopo un coma farmacologico e qualche eco slayeriano sparso, condendo il tutto con svariate dosi di riff/assoli rubacchiati ai gruppi melodici di Gotheborg, spesso pure in salsa “metalcoriana”, e con la voce di Randy Blythe: praticamente il lamento continuo di un cane paralitico inculato da un elefante, il tutto mentre un leopardo gli azzanna la gola. Il tremendo e svociatissimo – ai limiti dell’afonia – Phil Anselmo recente (quello, per intenderci, che si esibisce all’Hellfest a mezzanotte, ubriaco a merda e drogato come un maiale e con una panza che manco l’enorme mappamondo luminoso che avevamo in classe alle elementari) in confronto a ‘sto fenomeno sembra Corpsegrinder. Non ho parlato della produzione di plastica, perché essendo questo un disco Nuclear Blast mi sembrava inutile specificarlo.
Il problema di fondo dei Lamb of God non è il fatto che siano derivativi, anche perché non sono un gruppo semplicemente derivativo. Se si trattasse solo di questo, sarebbe un discorso comunque comune al 99% dei gruppi metal venuti fuori negli ultimi quindici anni e non sarebbe particolarmente grave (o almeno non troppo, mettiamola così). E poi, diciamocelo: a tutti noi, per forza di cose, piacciono diversi gruppi derivativi.Il gravissimo problema dei Lamb of God è che sono proprio delle bruttissime copie di roba che, come se non bastasse, aveva già scatenato migliaia e migliaia di cloni, alcuni dei quali anche con una parvenza di dignità, già oltre dieci anni fa. In questo disco non c’è assolutamente NIENTE DI NIENTE. Il vuoto cosmico è l’essenza di VII: Sturm und Drang: un album riciclatissimo, monocorde, noioso, insopportabile, stupido. La quintessenza dello stracciamento di coglioni, del tempo buttato, dell’inutilità fatta musica. Non riesco ad immaginare una persona che possa apprezzare questo disco, se non, al massimo, un quindicenne americano che non abbia mai ascoltato nemmeno Reign in Blood.
Ho sentito definire questo gruppo nei modi più disparati: hardcore, thrash, thrash/death, post-qualcosa e chi più ne ha più ne metta, ma prima della definizione c’era spesso “la nuova frontiera del” davanti. Io ho superato i quindici anni da un pezzo, sono cresciuto con Sodom, Madball, Slayer, Agnostic Front e Massacre e per me ‘sta robaccia è solo immondizia che ha la stessa ragione di esistere dei risvoltini, dei capelli ad ananas o della fila alla posta. E che non se ne parli mai più. Addio per sempre, Lamb of God. La prossima volta che mi ritroverò bloccato in casa mi farò una pera tra le dita dei piedi.