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Lampi inattesi dal Granchio

Creato il 13 gennaio 2011 da Stukhtra

Nebulosa batte acceleratore 100 a 1

di Andrea Signori

La Nebulosa del Granchio ha festeggiato l’inizio del 2011 con inaspettati lampi di radiazione gamma. Emessi da particelle cariche con energie di circa 1.000 TeraelettronVolt (TeV), sono la prova ufficiale che la Natura surclassa le potenzialità del Large Hadron Collider del CERN: circa 10 TeV. Mettendo da parte la fastidiosa sensazione di essere doppiati da un bolide mentre si guida fieri un sofisticato triciclo, la notizia è di primaria importanza. Anzitutto mette in discussione la validità dei modelli correnti che descrivono l’accelerazione di particelle cariche nei plasmi astrofisici. E poi fa vacillare l’utilizzo della Nebulosa come candela standard, cioè come oggetto la cui luminosità è presa come parametro di riferimento. Infatti i lampi gamma rilevati hanno aumentato di sei volte la luminosità della Nebulosa per alcuni giorni. Gli astrofisici sono dunque avvisati.

Lampi inattesi dal Granchio

La Nebulosa del Granchio in un'immagine costruita sovrapponendo varie porzioni dello spettro elettromagnetico.

La scoperta è stata effettuata da AGILE (Astro-rivelatore Gamma a Immagini LEggero), telescopio per raggi gamma costruito dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Il lampo è stato confermato anche da LAT (Large Area Telescope), uno strumento a bordo del Fermi Gamma-ray Space Telescope della NASA, e ora anche Hubble, Chandra, Swift e INTEGRAL stanno osservando la Nebulosa per acquisire informazioni più accurate.

La Nebulosa del Granchio e la pulsar al suo interno sono ciò che resta di un’esplosione di supernova avvenuta nel 1054 d.C. e documentata da astronomi cinesi e mediorientali. La pulsar ruota con un periodo di 33 millisecondi ed emette radiazione elettromagnetica collimata attorno a una direzione preferenziale: un vero e proprio “faro” nel cielo. La luce emessa illumina le polveri circostanti e le rende visibili ai telescopi in diversi intervalli di frequenze dello spettro elettromagnetico.

Lampi inattesi dal Granchio

Una pulsar funziona proprio come un faro: oltre all'asse di rotazione (in verde) sono evidenziate le linee di forza di campo magnetico (in bianco) e i segnali di radiazione elettromagnetica collimata (in blu).

Lampi inattesi dal Granchio

La Nebulosa del Granchio illuminata dalla luce emessa dalla pulsar, fotografata in diverse frequenze dello spettro elettromagnetico. (Cortesia: NASA)

In sintesi, questo è quello che si sapeva sulla Nebulosa del Granchio e sull’origine della radiazione elettromagnetica che la illumina. Fino ai primi giorni dell’anno nuovo, quando “Science” ha pubblicato un primo e un secondo articolo. Infatti i dati ottenuti dalle recenti osservazioni ci dicono che i nuovi lampi non sono riconducibili al “vento” elettromagnetico emesso dalla pulsar e dagli sciami di elettroni e positroni che esso crea. Da dove vengono allora? Molto probabilmente giocano un ruolo fondamentale i campi elettromagnetici che perturbano il plasma della Nebulosa. Infatti la breve durata (pari a qualche giorno) dei fenomeni fa pensare gli scienziati a una radiazione di sincrotrone estremamente energetica: i campi accelerano elettroni a energie elevatissime (1.000 TeV, cioè circa 100 volte maggiori di quelle ottenibili con il Large Hadron Collider del CERN) e poi, curvandone la traiettoria, causano l’emissione di radiazione elettromagnetica gamma. Inoltre la spiccata variabilità di quest’ultima mette seriamente in discussione il modello accreditato per l’accelerazione delle particelle cariche in ambito astrofisico.

Molte le questioni aperte, insomma. Ma per ora dobbiamo accontentarci di formulare ipotesi sulla natura e le cause di questi inaspettati bagliori. Per averne conferma o smentita sarà necessario attendere i prossimi eventi di questo tipo. “Oltre ad avere un interesse scientifico di prim’ordine”, commenta Bruno Coppi, fisico del Massachusetts Institute of Technology (MIT), “queste nuove conoscenze saranno senz’altro utili per sostenere gli esperimenti internazionali per la produzione di energia, con caratteristiche molto interessanti dal punto di vista ambientale”. La fisica del plasma è infatti uno dei pilastri su cui poggiano gli studi riguardanti la fusione termonucleare. “La ricerca astrofisica pura”, continua Coppi, “pur sembrando lontanissima da qualsiasi applicazione pratica, si rivela ancora una volta fondamentale al fine di migliorare le condizioni di vita future”.


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