Arriviamo al Traffic prima del solito per assistere all’esibizione degli Shores of Null, meritevole nuova realtà capitolina composta da membri di Orange Man Theory, Noumeno, Zippo eccetera. E abbiamo fatto benissimo, perché non solo quello del quintetto romano è stato di gran lunga il miglior concerto della serata, ma perché essi stessi si sono rivelati essere molto più convincenti dal vivo che in studio; il loro unico disco Quiescence, uscito per Candlelight e qui riproposto quasi per intero, sembra illuminarsi di nuova luce, con dei suoni più grezzi e meno cristallini rispetto al cd, specie per quanto riguarda la voce di Davide Straccione. Gli Shores of Null sembrano essere innamorati del metal europeo di fine anni novanta, e dal vivo ciò risalta ancora di più: ma il loro omaggio non appare freddo, né ha nulla di accademico: al contrario è carico di trasporto emotivo verso un’epoca in cui determinate sensazioni erano trasmesse in maniera più genuina. Lo stesso discorso, peraltro, si può fare anche per i Falloch, ma con esiti del tutto diversi. (Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)
Quando tre/quattro anni fa incominciammo ad interessarci con maggior attenzione a quei gruppetti, inizialmente poco conosciuti, che proponevano una versione edulcoratissima di black metal infarcito di elementi pop ricordo che il giudizio nei loro confronti non era quasi mai unanime qui nel gruppo. Diciamo che, avendo smesso dall’età di circa 16 anni di fare battaglie ideologiche sulla purezza dello stile, ad alcuni di noi rimaneva comunque un discreto amaro in bocca per la stranezza della proposta o forse, più semplicemente, per via di una non proprio definita e coerente linea di pensiero della stessa, cosa che facilmente poteva far storcere il naso. Personalmente mi ci buttai dentro con tutte le scarpe cercando di trovare a tutti i costi un incasellamento essendo un mio limite personale quello di voler dare sempre una definizione e una categoria a qualsiasi cosa, per poi finirne, a distanza di tempo, parecchio deluso. Sull’ondata di quel post-metal, post-black e fritti misti, che aveva origini ben più distanti, inizialmente sembrava che potesse delinearsi anche un sotto genere da prendere in considerazione negli anni a venire. Sotto sotto, però, il timore e il presentimento, di chi ascolta musica di vario genere da qualche annetto e che ha in testa ormai più capelli grigi di quelli che sarebbe disposto a tollerare, ruotavano tutti intorno al non riuscire a figurarsi un futuro ‘artistico’ che realmente non fosse basato su ripetizioni stantie della stessa solfa. Per dirla con meno arzigogoli, la sensazione era tipo quella che ti dà il Beaujolais nouveau: attendere ansiosi l’arrivo del terzo mercoledì di novembre di ogni anno per stappare una bottiglia di novello profumato e poi constatare per l’ennesima volta il suo essere intrinsecamente effimero.
Si aggiunga pure che l’ultimo disco dei Falloch e l’ultimo dei Lantlos mi sono sembrati meno ispirati dei precedenti. I primi, gli scozzesi, che già partivano in ritardo sui tempi e surfavano sull’onda lunga del cosiddetto black-shoegaze, avevano esordito con un album discreto, Where Distant Spirits Remain, che, in virtù della suddetta onda lunga, avevo apprezzato non poco. Oggi, con This Island, Our Funeral, sarà anche che avrà pesato la fuoriuscita di Andy Marshall, voce, chitarra e probabile anima BM del gruppo, si attestano sul medione delle band che propongono questa roba. Per quanto efficace se ascoltato da casa, dal vivo l’esibizione non mi ha convinto molto e per quanto, inoltre, sia difficile riprodurre certe atmosfere fuori dallo studio di registrazione e certi ‘muri di suono’ (poi neanche tanto protagonisti nello stile Falloch) mi è sembrato che alla dimensione live della band mancasse qualcosa.
Più convincenti durante l’esibizione dal vivo, grazie alle tre chitarre presenti, nella riproduzione di quel ‘muro’ di cui si diceva, i Lantlos hanno sofferto della mancanza di una voce (e di una presenza scenica) comunque sui generis, quella di Neige, presente dietro al microfono nel precedente Agape. In generale, il nuovo disco, Melting Sun, sebbene anch’esso gradevole se ascoltato nelle quattro mura di casa, è molto pop e più delicato (ma paradossalmente meno raffinato, a mio parere) degli altri tre che lo hanno preceduto (in particolar modo di .neon) e meno carico di quella pesantezza di matrice Isis (non quella islamica, mi raccomando) che invece nell’esecuzione live dei pezzi vecchi veniva fuori prepotente. Pure troppo.
Partendo da queste premesse inevitabili ho fatto, quindi, la mia valutazione sul concerto. Purtroppo poi, sembra che uno lo faccia apposta (e non è così), abbiamo dovuto interrompere la nostra fruizione anzitempo, perché il giorno dopo c’era una sveglia all’alba che incombeva sulla mia testa e quindi ce ne siamo andati a metà dei Lantlos, che le cose stavano pure diventando più interessanti. Senza nulla voler togliere al lavoro dei ragazzi del Traffic (che come ha detto giustamente qualcuno, coi loro sforzi stanno facendo il bene di Roma molto più di qualsiasi iniziativa del sindaco Ignazio Marino e che fanno benissimo a proporre eventi anche fuori dagli schemi come questo), ma abbiamo visto e ascoltato di meglio. (Charles)