Ho voglia di farmi sentire sempre meno spesso, con le parole, non perché non ne abbia, ma perché è più divertente così. Non deve per forza esserci una motivazione bizzarra a condizionare le nostre scelte.
Anche il teatro, in origine, era un divertissement (e l’ho scritto giusto al primo colpo per quante volte l’ho letto in questa settimana, sì, perché ho finito di leggere un libro di 200 pagine in una settimana, ditemi se questa non è vanagloria!?) e comunque adesso – ai giorni nostri – il divertimento è ben altra cosa: discoteche, bowling, corsa dei cavalli (esistono ancora, no?), bingo, biliardo, calcio, videogames, internet point, ed è triste sapere che è davvero così felicemente cambiato il mondo, e che la gente ne è veramente sopraffatta. Io, comunque vadano le cose, continuo a preferire l’interesse per l’arte del ’600.
Quando cominciai a recitare credetti che la gente frequentasse i teatri e che nel farlo provasse una sorta di appagamento tanto forte quanto una giornata in riva al mare, forse perché a scuola di tanto in tanto ci portavano a teatro anche se per assistere a musical in lingua, e io ci andavo di voglia. C’era sempre così tanta gente che mi piaceva pensare ci fosse venuta per puro interesse personale, pur sapendo che in realtà si trattasse di studenti, come me.
Ne scrutavo i volti, ed eran piuttosto annoiati, forse perché le battute erano in lingua, e in compenso gli attori erano molto bravi a lasciar intendere.
Gli attori lasciano sempre a intendere.
Mi immergevo nei monologhi più tristi, e mi sentivo fuori orbita, mai più italiana, mai più così. Il disincanto era straordinario, il disincanto che Brecht prima e Diderot più tardi chiamarono “stranimento“, il paradosso dell’attore, il distaccamento della persona dall’attore, dell’attore dalla scena, e la scena dalla vita.
Penso che, forse, non dovremmo conoscere troppo affondo le altre lingue, forse dovremmo lasciarci coinvolgere molto di più da quello che esse stesse riescono a trasmettere, a dirci, a farci viaggiare con l’immaginazione, con altre parole, diverse dalle nostre ma dalle stesse intenzioni. Infondo, le richieste d’aiuto, i baci d’amore, le parole dolci, hanno lo stesso profumo anche in altre lingue.
Per questo, penso che assistere a spettacoli in lingua sia seccante solamente per chi non è pronto a lasciarsi andare alle emozioni, all’intesa che l’attore crea con il suo pubblico. Ed è bello lasciar intendere che il pubblico appartiene all’attore che lo fa stare bene.