Quasi sempre le recensioni positive dei romanzi - siano essi grandi best sellers o titoli di nicchia – sono incentrate su un solo concetto: la semplicità.
Anobii ed altri siti specializzati in “critica letteraria democratica” (vale a dire firmata da chi non avrebbe nessuna particolare competenza per giudicare se non il proprio gusto personale, un po’ come fa Anna Tatangelo a X-Factor), traboccano di frasi come “si legge tutto d’un fiato”, “stile essenziale”, “scorrevole”, e altri sinonimi misti. Come se, in un’opera di narrativa, la semplicità e l’immediatezza fossero necessariamente un valore o un segnale di qualità.
Allo stesso tempo causa ed effetto di tale fenomeno ormai normalizzato ma non per questo giustificabile, anche le case editrici, nella scelta dei libri da pubblicare, chiedono all’autore soprattutto una cosa: di essere easy, e quindi facilmente accessibile al maggior numero di acquirenti.
Capisco bene le logiche commerciali delle aziende editoriali che devono far quadrare i loro bilanci, ma da lettore mi viene da chiedermi e da chiedere agli altri lettori: siamo proprio sicuri che sia questo – la semplicità – ciò che dovremmo chiedere a uno scrittore come prima caratteristica del suo lavoro?
Ci interessa davvero così tanto, che la storia in cui ci immergiamo sia prima di tutto “facile”?
E’ un concetto che ormai si dà per scontato, e per universalmente valido, quello che la lettura debba divertire, rilassare, defaticare, anche quando magari ci presenta situazioni tristi ed infelici. Dopo una giornata di lavoro, nessuno ha voglia di aprire un romanzo e ricominciare a sudare su una pagina scritta.
Ma allora – dico io – non sarebbe meglio che questi “lettori per distrazione” o per break si dedicassero ad altre attività? Il mondo multimediale in cui siamo immersi offre una straordinaria gamma di alternative, per chi vuole entrare in una narrazione senza sudare: ci sono i serial-tv, i video su youtube, milioni di siti con articoletti veloci e snelli. C’è facebook e c’è twitter.
E se la letteratura, in nome della compiacenza, finisce con il somigliare ai sistemi di comunicazione più in voga, tanto vale che smetta di essere, e si suicidi prima di morire ammazzata.
Un libro è solo bello o brutto, non “rilassante” o “faticoso”.
Ci sono romanzi complicatissimi eppure meravigliosi, tomi stancanti e pieni di pretese nei confronti del lettore che però sono anche in grado di ripagare appieno per ogni sforzo fatto.
Quale piacere c’è, a finire un romanzo solo perché “si legge tutto d’un fiato”? Quale cambiamenti può scatenare in noi, qualcosa che ci provoca piacere scivolandoci addosso?
A mio parere la lettura facile, quella che non richiede particolare impegno, ha lo stesso effetto della ginnastica passiva: dà l’illusione di mettere in moto le energie e di tonificare, ma in realtà lascia più atrofizzati di prima.
Magazine Cultura
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