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Nel caos onnivoro e chiassoso che ci avvolge, nella masnada di immagini che sommerge ogni spettatore contemporaneo, la visione di "Last Summer" si rivela un potente collirio, una gentile e benefica medicina che ci avvolge in un cinema che pare "straniero", come se fosse un Ufo piombato in Italia.
Il film di Seràgnoli, giovane esordiente italiano, è un'opera che respira gran cinema inquadratura dopo inquadratura. L'aspetto più sorprendente è la sua stessa idea di tempo cinematografico: ogni immagine ha una sua durata interna, una sua geografia che pare costruire la mappa emotiva dei protagonisti. La musica non invade mai l'immagine, tranne quando viene necessariamente evocata (come nel finale): un'idea di cinema purissimo, ascetico, minimale, che rispetta il suono e l'attore, che s'innamora di un gesto, di un movimento, e riporta ogni elemento allo sguardo e alla luce. Con un rigore quasi sconosciuto, la storia si riduce a un rapporto negato, a un incontro madre-figlio dopo tanti anni di distanza. Tutto il film di Seràgnoli racconta l'avvicinamento progressivo di due corpi, illuminando ogni sottigliezza, ogni piccolo gesto, ogni singolo particolare come se si trattasse di un climax improvviso. Tutto è in primo piano, nella dimensione stessa in cui non avviene nulla d'importante, nulla di davvero narrativo: per questo ci si ritrova a navigare solitari in un mare di sospensione. Ma il nostro sguardo, solo, difettoso e sconosciuto, cerca di fissare un punto fermo, quel controluce che ci illumina e ci fa innamorare (il controluce segreto che nasconde perfino il volto più austero).
Penso e ripenso alla sequenza più bella del film, quella dolcissima in cui madre e figlio si riconciliano durante l'ultima notte: una luce che ricordo caldissima, quasi infuocata (non importa se poi non lo era davvero), primissimi piani che bucano lo schermo, rivelando l'oceano di tenerezza sconfinata che è nascosto dietro ogni viso. In quella sequenza straordinaria Seràgnoli scopre quel volto negato che non fu mai conforme alla faccia, mentre sonda la verità di un sentimento naufragato.
Negli slittamenti emotivi, nelle mani che si sfiorano, nel sorriso di un bambino, negli occhi di una madre: "Last Summer" è "solo" questo, ma in questo "solo" c'è più cinema, più amore, più passione che in tre quarti nella produzione cinematografica nostrana.
Inoltre l'ambiente in cui è ambientata tutta la vicenda completa perfettamente il senso del film: una barca in mezzo al mare che conchiude e insieme svela tutte le potenzialità di un affetto. Gli occhi lanciano lo sguardo verso l'orizzonte, l'espressione si tinge di malinconia, i limiti di una relazione superano i recinti di una struttura navale.
post scriptum necessario e al di fuori di ogni presunta, stupidissima oggettività: "Last Summer" mi ha fatto piangere. Di conseguenza nessuna ricognizione critica, nessuna parola, sarà mai sufficiente a "dire" ciò che provo. Non posso fare altro che consigliarlo, visto che il film avrà anche una distribuzione in sala.
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