È un anno funesto questo 2012 per il mondo del fumetto: dopo la scomparsa di Moebius, di Tony DeZuniga, di Joe Kubert, il 21 agosto ci ha lasciati anche Sergio Toppi, un artigiano del fumetto che non voleva essere chiamato ‘artista’. «Il professionista deve adattarsi a quello che gli viene richiesto, entro certi limiti.», diceva. «Può anche dire di no. Se accetta una cosa è tenuto a farla nel modo migliore. Come in tutti i lavori, ci sono delle cose che piacciono e altre meno, però bisogna cercare di adeguarsi alle richieste della clientela e dell’editore. Quando non è possibile, non lo si fa. Questa è la regola delle cose.»
La fama di Sergio Toppi non ha confini e può rendere l’Italia orgogliosa di essere stata patria di uno dei più grandi narratori per immagini che siano esistiti.
Sergio Bonelli, suo amico ed editore di lunga data, così ne parlava: «Io a lui sono anche debitore di una specie di passaporto internazionale. Quando, da perfetto sconosciuto quale sono, grazie al cielo, al di fuori del mio piccolo mondo fumettistico italiano, mi presento a qualche manifestazione dedicata ai comics (a New York come a Buenos Aires, a Barcellona come ad Angoulême), mi basta una semplice dichiarazione per suscitare l’interesse e la stima dei miei interlocutori: “Mi chiamo Sergio Bonelli, pubblico fumetti in Italia e sono l’editore di Sergio Toppi”».
Se n’è andato un genio, definibile tale senza piaggeria, eppure negli ultimi anni snobbato dal mondo del fumetto. Controcorrente, «Il Grifo», ma sopratutto «Il Giornalino» (di cui Toppi era da decenni una delle colonne portanti) e il Museo del Fumetto diretto da Angelo Nencetti nel 2010 riuscirono a realizzare Sulle rotte dell’immaginario, una collana in dodici volumi che raccoglie la gran parte dei lavori realizzati da Toppi. Un tributo doveroso a colui che, insieme a pochi altri, ha contribuito all’innovazione della Nona Arte attraverso una rivoluzione dell’impostazione della pagina con un segno fatto da una ragnatela di tratti.
In Sulle rotte dell’immaginario, di cui Latinoamericane è l’ottavo volume, Toppi ha guidato i suoi lettori attraverso i continenti, cogliendo delle meraviglie del mondo non soltanto dettagli e sfumature, ma l’essenza viva che rende magico ciò che stupisce.
Distribuito nelle edicole il 16 dicembre 2010 come supplemento a «Famiglia Cristiana» e «Il Giornalino», Latinoamericane raccoglie tavole in bianco e nero e a colori di Sergio Toppi, al quale l’ambientazione esotica sembra sollecitare la prolifica vena creativa, consentendogli di dare il meglio in racconti che spaziano dall’anno 1492 ai giorni nostri, fra gli spietati conquistadores e le popolazioni indigene che vivono in simbiosi con la natura.
Il viaggio parte da una fascinosa Ipotesi 1492 incentrata su un nocchiero di Cristoforo Colombo e prosegue attraverso leggende e popolazioni inca, maya, azteche, non tralasciando i peones messicani e gli indios amazzonici e ravvivando leggende mitiche come quella delle sette città d’oro di Cibola.
Le storie Tzoacotlan 1521, San Isidro Maxtlacingo 1850, Chapungo e Sacsahuaman 1977 sono presentate in bianco e nero, le altre a colori.
Era molto importante per Sergio Toppi la documentazione, la ricerca anche se poi, alla fine, reinterpretava il tutto, rimanendo però fedele alla realtà. «Non si crea nulla dal nulla», diceva. A parte il talento, naturale, di cui era portatore indiscusso sulla scena mondiale.Angela Pansini
Sergio Toppi, Latinoamericane, San Paolo Edizioni, pp. 228, € 11,00