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Lattanzi: Chi sono i padrini dell’Umbria?

Creato il 31 marzo 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

Tosto lui e tosto il suo ultimo libro.

Parlo di Claudio Lattanzi, un giornalista nato ad Orvieto nel ’70, che qualche giorno fa ha pubblicato I padrini dell’Umbria, un’illuminante inchiesta su chi comanda nel polmone verde d’Italia, sul ruolo che hanno l’opposizione, l’informazione e la Massoneria.

Lattanzi ha già pubblicato libri scandalo. Noto è il penultimo: “Mafia in Umbria – Cronaca di un assedio” (Intermedia).

Facciamoci anticipare qualcosa dell’ultimo lavoro,

Lattanzi: Chi sono i padrini dell’Umbria?
Allora, Lattanzi, chi sono i padrini dell’Umbria?

L’Umbria è una piccola regione in cui il controllo della politica sull’economia e sulla società continua ad essere stringente per non dire asfissiante. Le carte in mano le hanno sempre gli eredi del Pci, oggi democratici ed i loro alleati.  In grande sintesi,  si può dire che il sistema attraverso il quale la politica mantiene questa stretta è incentrato su due architravi: il gigantesco apparato amministrativo e burocratico, per il quale lavorano oltre 50 mila persone e la cui gestione risponde in larga parte a logiche di appartenenza politica e clientelismo ed il rapporto strettissimo che esiste tra le istituzioni e la Lega delle cooperative.

Ci dica qualcosa di più!

Nel primo settore rientra anche la sanità, la cui amministrazione funziona secondo input di apparato come dimostra l’indagine su Sanitopoli, ma anche quell’insieme di società partecipate, comunità montane ed enti che sono, al tempo stesso, degli “stipendifici” per assunzioni pilotate, ma anche enti appaltati che, a differenza degli enti pubblici, possono affidare lavori alle aziende senza dover rispettare gli obblighi di svolgere gare. Il rapporto tra i dirigenti politici umbri ed il managment delle cooperative rosse è inoltre strettissimo.  Il fatto che l’attuale governatrice Catiuscia Marini sia stata direttore regionale della Lega coop è solo la punta dell’iceberg di una vera osmosi tra partiti e coop, che si riproduce in tutti i territori come è documentato nel libro, zona per zona. Più che un conflitto d’interesse, tale situazione assume i contorni di un “regime” politico – economico, considerando che queste cooperative rosse sono monopoliste negli affidamenti pubblici in quasi tutti i Comuni umbri in cui continuano ad ottenere appalti da decenni senza alcuna forma di concorrenza, grazie al particolare sistema normativo che vige qui.  Intorno a questo nucleo centrale, ci sono poi altri poteri come, ad esempio, alcuni importanti costruttori perugini la cui vicenda imprenditoriale può essere letta attraverso la pianificazione urbanistica del capoluogo ed i potenti cementieri che controllano una grande fetta dell’informazione.

Perché in mezzo secolo nessuno – né l’opposizione, né l’informazione, né l’Università – è riuscito a scalfire questo potere? L’incapacità di cambiare da parte del popolo umbro ha origini storiche?

Diverse sono le cause che sono andato ad analizzare, Innanzitutto è da rilevare che c’è differenza tra la Prima e la Seconda Repubblica. Nella fase pre tangentopoli il Pci e la Dc si spartivano grosso modo il 60 ed il 30 % dell’elettorato. Mentre i comunisti detenevano il controllo di tutte le istituzioni locali, i democristiani avevano delle “riserve” di potere nelle banche (che fino a metà anni Novanta erano tutte pubbliche), nell’università, nelle camere di commercio. Oggi questa spartizione è venuta meno. Il Pd è il perno intorno a cui si giocano tutte le partite. Il centrodestra è rimasto tagliato fuori per diversi motivi, comprese le leggi approvate negli anni Novanta che posero fine al consociativismo e alle spartizioni concordate nel sottogoverno regionale. A ciò bisogna aggiungere la mancata strutturazione del Pdl sul territorio, i rapporti personali gestiti da Maria Rita Lorenzetti con i referenti romani del governo anche di destra che tagliava fuori la classe dirigente umbra del Pdl, una certa propensione di esponenti della destra umbra a coltivare gli orticelli personali ed il quadro diventa più chiaro.  Anche gli “strumenti” che la destra poteva usare a fini politici come, ad esempio la Banca popolare di Spoleto ed il Corriere dell’Umbria non sono mai stati attivati .

Che potere ha ancora la Massoneria, dopo la morte di uno dei capi storici?

La massoneria umbra, ma perugina in particolare, vive una fase di grande vigore in quanto a numero di iscritti alle 36 logge con oltre mille iscritti solo al Grande Oriente d’Italia. Ci sono molti ambiti professionali ed accademici in cui la massoneria ha un potere molto forte senza trascurare ovviamente il contesto politico, con diversi consiglieri regionali iscritti alle logge ed un assessore “in sonno”. Ho dedicato un intero capitolo del libro alla descrizione del reticolo dell’appartenenza massonica a Perugia che rappresenta un tessuto connettivo attraverso il quale transitano affari e carriere. La massoneria è in grado di determinare anche quel senso di “società nella società”, che è uno dei tratti distintivi di questa regione, in cui avere santi in paradiso in base alla comune appartenenza partitica  o di loggia costituisce il vero sistema per non essere condannati alla marginalità e all’esclusione rispetto ai “giri” che contano.

Lattanzi: Chi sono i padrini dell’Umbria?

La malapolitica scoperta a Gubbio è l’espressione di quello che avviene in tutta la regione?

Il sistema di potere che la magistratura ha ipotizzato a Gubbio ricalca uno schema che è molto simile a quello delineato dagli stessi magistrati a Foligno, ovvero un metodo di gestione della cosa pubblica all’insegna del clientelismo che viene gestito dai ras del partito e dalle istituzioni. Nel caso di Gubbio sono scattati gli arresti solo perché gli indagati hanno cercato di distruggere le prove, ma quasi tutti i Comuni umbri funzionano in quel modo.

Alle elezioni politiche scorse il Pd ha avuto una notevole emorragia di voti. Molte città, roccafforti dei rossi, si sono scoperte grilline. La speranza di un cambiamento per l’Umbria sta nel M5S?

 Il Pd ha perso circa 80 mila voti rispetto alle politiche del 2008, ma ne ha guadagnati circa 20 mila rispetto alle ultime regionali. La sopravvivenza del regime umbro è legata esclusivamente alla possibilità per i politici della sinistra di mantenere ancora aperto il rubinetto della spesa pubblica anche per sostenere le politiche clientelari. Una possibilità che sta scemando sempre di più tra crisi e spending review. Resta da capire quali prospettive alternative potranno esserci nel futuro per una realtà in cui l’imprenditoria privata è alle corde e molto più asfittica rispetto a quanto avviene nel resto dell’Italia centrale. Il Movimento 5 Stelle è portatore di voglia di cambiamento anche in Umbria, dove presto potrà misurare la propria capacità di fare politica nei vari territori, in occasione delle elezioni amministrative. Non vorrei che l’ansia moralizzatrice della vita pubblica lasciasse passare in secondo piano la capacità di dare risposte concrete sul piano economico. In Umbria anche loro devono rispondere a questa domanda: finita l’epoca della spesa pubblica e del welfare senza fondo, quale modello di sviluppo siamo in grado di mettere in piedi per far mangiare le persone?

Quale il potere della Chiesa di Assisi in Umbria?

E’ un potere economico, visti i sei milioni di turisti che arrivano ogni anno.

La copertina del suo libro è inequivocabile: una scarpa rossa tenta di calpestare delle persone. Sono gli umbri che ancora non riescono a svegliarsi?

È la sintesi grafica di quel regime di cui tutti gli umbri o quasi hanno avvertito la presenza almeno una volta in vita loro. Un libro non può avere pretese rivoluzionare, ma cominciare a dire pubblicamente ciò che qui di solito si sussurra a mezza bocca e con timore potrebbe essere un buon inizio. Anche nell’interesse di chi governa l’Umbria.

      Cinzia Ficco


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