ROMA – Forte, determinata. E soprattutto donna. La presidente della Camera Laura Boldrini da sempre si batte a favore dei diritti sulle donne. E in occasione della prossima giornata mondiale contro la violenza sulle donne lancia un appello: “Donne, cominciate a ribellarvi fin da bambine. Io e mia sorella l’abbiamo fatto contro i nostri fratelli e abbiamo vinto”.
Intervistata da Flavia Amabile per La Stampa, Laura Boldrini si racconta. Parla della sua battaglia a favore dei diritti sulle donne, e sprona il genere femminile a reagire: a casa in famiglia come nelle scuole e nel lavoro:
Onorevole Laura Boldrini, presidente della Camera, lunedì ci prepariamo ad un’altra giornata mondiale contro la violenza sulle donne. L’Italia come arriva a quest’appuntamento?
«La violenza è solo la componente più esasperata della mancanza di parità tra uomini e donne in Italia. C’è ancora molto da fare, il nostro Paese è indietro dal punto di vista culturale: ancora sono un’eccezione le donne che accedono a certi ruoli. Ed è indietro da un punto di vista strutturale perché il welfare è poco attrezzato e grava ancora tutto sulle spalle delle donne».
Da dove iniziare?
«Dalle famiglie. È lì che si creano i presupposti per una discriminazione se i ruoli sono già assegnati dai genitori. Le battaglie per la parità si iniziano fin da piccoli».Come?
«Le figlie femmine devono ribellarsi e dire che così non va, devono essere le prime a reagire, se i genitori non garantiscono parità. Io e mia sorella l’abbiamo fatto. In casa eravamo in cinque: tre maschi e noi. Mia mamma aveva iniziato ad educarci seguendo i soliti stereotipi: noi dovevamo aiutare, loro no. Ci siamo ribellate, ed è stato un moto autonomo. Abbiamo minacciato sciopero, perché il lavoro andava diviso in misura eguale fra tutti».Com’è andata a finire?
«Abbiamo vinto, la suddivisione dei compiti è stata equa ed ora i miei fratelli maschi trovano del tutto normale avere ruoli alla pari nelle loro famiglie».Oltre che nelle famiglie dove intervenire?
«Nelle scuole. L’educazione di genere nelle aule porterebbe equilibrio nella società».La ministra Carrozza sostiene che nelle scuole ci sono già molti progetti che riguardano la cultura di genere. Non sono sufficienti?
«In questo ambito non è mai troppo e l’escalation della violenza sulle donne lo dimostra».Una materia ad hoc?
«Non sta di certo a me indicare le modalità, ma ritengo che le materie inerenti al rispetto di genere e all’educazione sentimentale debbano accompagnare il programma scolastico fin dalle elementari».Alcune associazioni di genitori cattolici sostengono che l’educazione sentimentale spetta alla famiglia, la scuola non deve intromettersi.
«Ne sono sorpresa, non vedo alcuna accezione negativa nell’educazione al rispetto. Non conosco nessuna religione favorevole all’uso della violenza in un contesto domestico».Lei parla di scuola, di famiglia, di pubblicità. Ma è il presidente della Camera, c’è chi la accusa di entrare in campi che non sono di sua competenza.
«Si’ lo so qualcuno l’ha fatto, tra cui Guido Barilla ma io rivendico il diritto per chi ha ruoli istituzionali di occuparsi della società in cui vive, dei suoi cambiamenti. Poi però con Barilla ci siamo scritti e incontrati qui a Montecitorio, abbiamo chiacchierato a lungo e ci siamo chiariti».La questione resta, però, gli spot spesso restituiscono un’idea della donna per nulla paritaria.
«Famiglie come quelle che appaiono in alcune pubblicità sono irreali. In quali famiglie l’uomo torna a casa, si butta sul divano e aspetta di essere servito a tavola? Forse era così negli anni 60, ma questo oggi è uno stereotipo che non rende giustizia né agli uomini, né alle donne. E poi perché usare il corpo delle donne per promuovere computer o mobili? È umiliante e non aiuta nella lotta alla violenza contro le donne».