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Laura: “Chi è la più cattiva del reame? Ve lo dico io”

Creato il 23 luglio 2012 da Tipitosti @cinziaficco1

Una scorsa ai suoi testi, due chiacchiere sull’attività che la occupa da venti anni e non
hai dubbi. Pensi: “Questa è proprio tosta!”

Sì, Laura Pigozzi, nata a Milano nel ’59, è davvero una tipa tosta. Perché controcorrente,  resistente alle mode e sempre tenace nel difendere le sue teorie rivoluzionarie. Come quella che ha racchiuso nel suo ultimo lavoro, risultato di una professione molto originale.

Laura: “Chi è la più cattiva del reame? Ve lo dico io”

Se non ci credete, leggete questa intervista.

Prima di descrivere la sua attività, ci parli del suo ultimo libro: “Chi é la più cattiva del reame? Figlie, madri e matrigne nelle nuove famiglie” (2012 et al./edizioni), che ha creato parecchio scompiglio tra le sue lettrici.

Ho voluto scrivere un libro per dare voce a una figura molto diffusa nel nostro tempo e che voce non ha: la matrigna. Per la prima volta la matrigna convive con la madre biologica dei bambini e non si occupa di loro alla morte della ex consorte, ma in alternanza con lei.

Questo cosa comporta?

Nelle nuove famiglie i rapporti si ridisegnano, ma siamo in un momento storico, che non ama la riflessione, mentre é importante dare voce e pensieri a questi cambiamenti epocali. Nel libro  indago appunto le inedite relazioni tra donne che prendono vita in queste difficili situazioni, senza dimenticare la figura del padre, oggi esiliata da un neomatriarcato che vede aumentato il potere della madre, spesso a scapito delle vere conquiste femminili.

Come sono state le reazioni da parte delle lettrici?

Finora buone, anche se sono andata a toccare un tasto decisamente tabù, cioè il potere della madre, il suo ruolo e il legame, oggi assoluto, con il “proprio” figlio. Credo, comunque, che il peggio debba arrivare, dato che non ho voluto fare un libro prudente.

Laura: “Chi è la più cattiva del reame? Ve lo dico io”
Cosa ha dato parecchio fastidio?

Parlo dell’odio e dell’amore, che invade le relazioni femminili e del fatto che tra i figli e la matrigna sorgono sentimenti d’amore, che spesso non possono avere cittadinanza e sono sentiti come affetti senza diritto, a grave discapito della crescita serena dei figli. Denuncio la “proprietà” del corpo del bambino, che alcune madri invasive rivendicano e sono critica sui nuovi criteri di allattamento on demand. Rileggo la storia di Medea e parlo dell’isola senza padri, che spesso il corpo materno diventa. Il film di Peter Brook, Il signore delle mosche (1962!), parla della pazzia e della crudeltà che, a un certo punto, prende i bambini naufragati su un’isola peraltro bellissima e generosa, ma senza padri. E denuncio anche la sete d’amore che hanno i genitori, i quali, invece di educare, vogliono essere amati dai figli. Insomma, sono decisamente controcorrente rispetto alle attuali mode familiari. Quando la burrasca arriverà, le farò sapere. Per il momento il politically correct ha la meglio, ma non durerà, vedrà.

I suoi percorsi mentali alternativi sono l’effetto di un lavoro parecchio originale. Ci dice qualcosa?

Sono docente di canto e di psicoanalisi della voce. Conduco percorsi di aiuto per cantanti in crisi, corsi sulla voce in gravidanza e corsi di formazione prosodica per manager, attori e speaker.

In sintesi?

Si tratta di lavorare sulla voce, tenendo presente che essa rivela di noi molte cose, piuttosto intime ed alcune anche parecchio antiche. La nostra voce, il suo suono, il suo timbro, é come la partitura della nostra vita, delle nostre gioie e dei nostri dolori. Insomma, é legata a noi e alla storia delle nostre identificazioni, molto più intimamente di una impronta digitale, che un chirurgo può modificare.

Il timbro vocale, invece?

E’ immodificabile. La mia doppia passione del canto e della psicanalisi ha felicemente inaugurato un nuovo campo di studi sia in psicanalisi, dove l’oggetto voce era ancora da esplorare, sia nella docenza della voce, dove il lato intimo della voce non aveva ascolto adeguato. Nella professione, le difficoltà, sebbene forse apparentemente scomparse, possono in modo inaspettato ricomparire nelle perturbazioni della voce, che intervengono nel momento meno opportuno, per esempio con un’afonia durante una performance o uno scivolamento tonale, che rende meno credibile ciò che stiamo dicendo al nostro interlocutore.

Che tipo di lavoro propone?

Il lavoro che propongo intorno alla propria voce per manager, attori, cantanti e speaker, non è quello di “mascherare” le defaillance, ma quello di imparare a “trattarle”. Con le donne in gravidanza, invece, propongo percorsi per rendere più intima la relazione con il nascituro, dal momento che la voce della madre é per il non ancora nato il primo nutrimento. Più importante del latte. Imparare a cantare e vocalizzare per il bambino che verrà, rafforza un legame profondo. Molto spesso dopo la nascita il bambino si calmerà proprio con quelle piccole canzoncine che la madre ha inventato per lui.

Quali sono le difficoltà di questa attività?

La difficoltà maggiore sta nel fatto che non siamo più abituati ad ascoltarci. C’é una delega immediata allo “specialista”, che si suppone ne sappia di più e le persone si trovano infantilizzate rispetto alle loro manifestazioni.

Il caso più tosto che ha affrontato da psicanalista della voce?

Sono quasi tutti tosti, perché la voce é attraversata da correnti inconsce, di cui spesso la persona non ha voglia di sapere molto. I casi più complessi, sono riassumibili in poche battute, ma si trovano nel mio libro “A nuda voce. Vocalità, inconscio, sessualità. (2008, ristampato nel 2009 e nel 2010). Un esempio é l’adolescente, la cui voce era una sorta di “buco nero”, che la riassorbiva dall’interno, effetto del non sapersi difendere dall’intrusività di un padre, cantante dal gran vocione, il quale pretendeva che il figlio gli confidasse le sue pene anche amorose. Il figlio, allora, non aveva trovato di meglio che rispondere con una afanisi, con una dissolvenza vocale.

Cosa ha compreso in tutti questi anni di lavoro?

Ho compreso che bisogna seguire le nostre passioni e che le teorie originali e efficaci
arrivano proprio quando si ha il coraggio di seguire un proprio percorso, di lavorare sulle proprie idee. E ho compreso anche che l’essere umano è complesso e quanto meno teme le proprie fragilità, quanto meno si illude di essere padrone di se stesso, tanto più combina qualcosa di buono. La voce e la psiche: mettere insieme due cose apparentemente così distanti ha creato un campo d’indagine fertilissimo, che ora anche altri studiosi stanno esplorando. Questa è una grande soddisfazione. Come quando mi scrivono laureandi che hanno basato la loro tesi sulle mie proposte di lavoro.

Su psiche e voce ha elaborato delle teorie particolari?

Nel libro “A nuda voce” sostengo con molti esempi e fondamenti teorici che chi canta con una voce ben emessa e appoggiata sente le vibrazioni, le quali concentricamente pervadono il corpo (il suono mette in vibrazione lo scheletro) e beneficia così di un particolare godimento molto affine a quello delle mistiche e, soprattutto, a quello provato da una donna. Il mio contributo è stato quello di segnalare che, oltre all’estasi, anche il canto rivela affinità col godimento femminile. Nel libro “Voci smarrite. Godimento femminile e sublimazione” (2011) mi sono spinta parecchio più in là.

Laura: “Chi è la più cattiva del reame? Ve lo dico io”

E cioè?

Ho sostenuto, ed è anche questa è una novità teorica, che il fare arte o l’inventare una teoria, o scrivere un saggio o un romanzo, sono attività che mettono in campo un godimento molto affine al godimento vertiginoso dell’orgasmo femminile.

Ha studiato anche la voce maschile?

La voce maschile e la voce femminile implicano lo stesso godimento. Anche gli uomini hanno ben piantato nel loro maschilissimo pomo d’adamo, due corde vocali, che anatomicamente somigliano in maniera impressionante alle labbra del sesso femminile. Per gli uomini poi la voce come perdita è ancora più evidente nel fenomeno della muta vocale, a cui ho dedicato molta attenzione nel secondo libro.

Cosa ne è venuto fuori e come l’hanno presa i suoi colleghi? Ricordo un collega a Parigi che, dopo la mia conferenza mi disse: “Madame, le ho viste tutte e due le labbra (intendendo sia quelle vocali che sessuali femminili) e vi assicuro che sono diverse!” È chiaro che un tale flagrante errore non poteva che spiegarsi con una resistenza a pensare che la sua possente voce maschile contenesse un godimento affine a quello della donna.

Immagino si sentirà parecchio isolata!

Alcune volte sì, come é normale che sia quando si propongono cose nuove. Però, ho avuto anche parecchi colleghi che mi hanno appoggiata e anche diversi che si sono riavvicinati.

Una voce femminile e una maschile che oggi ritiene parecchio intriganti, interessanti, magari del mondo della politica?

Purtroppo non mi viene in mente nessuna voce politica con un timbro particolarmente affascinante. Forse perché la politica è, soprattutto oggi, un’ attività molto competitiva e stressante. Questo non aiuta a manifestare la bellezza di una voce.

Una su cui lavorerebbe parecchio?

Quella della Jervolino, ma mi rendo conto che dirlo è quasi una banalità. Credo, però, che i suoi acuti si possano ammorbidire e che da ciò potrebbe ricavare anche maggior consenso.

Il suo ultimo progetto Rapsodia www.rapsodia-net.info cos’è e quali sono i suoi obiettivi?

L’idea di “Rapsodia. Rete di psicanalisi, arte, vocalità” è un’idea di libertà. E’ fare legame non in una associazione locale e limitata. L’obiettivo è usare la rete per formare
legami più ampi. E’ un’idea che già avevo avuto quando ho fondato, insieme a Valeria Medda, il “Forum Lou Salomé. Donne psicanaliste in Rete”, una bella e difficile avventura durata molti anni.  Il nuovo spazio web di “Rapsodia” vuole essere un luogo di incontro tra psicanalisti e artisti italiani e stranieri. E’ una rete di scambi che, come in una Rapsodia musicale, fa intendere voci diverse, non necessariamente unisone. In musica la Rapsodia è una struttura non convenzionale di un brano, in cui non c’è un ritornello – manca cioè una parte principale – ma si susseguono parti musicali diverse. Invito i colleghi e gli amici a partecipare con interventi propri, ma alcune volte persone che non conosco mi mandano i loro pezzi. Spero che questa modalità aumenti e permetta di creare sempre più legami di qualità.

Insomma, è una tipa originale. Quanto oggi è difficile esserlo oggi?

E’ difficile, perché oggi il valore è il conformismo.

Non l’hanno mai scambiata per un’esibizionista, un’egocentrica?

No, non credo. Spero proprio di no. Il mio non è un lavoro di superficie. Costa fatica e c’è poco da esibire. Tuttavia, ha ragione, se fai qualcosa controcorrente puoi correre il rischio di essere classificata così. Un piccolo rischio, in fondo, per un bel sogno.

Una persona controcorrente che apprezza tanto?

Chiunque inventi qualcosa deve per forza andare controcorrente e saper trasformare un dato negativo, un taglio, un trauma. Prendiamo il caso noto e classico di Steve Jobs: la madre biologica lo abbandona (primo taglio); i genitori adottivi non hanno abbastanza soldi e per non lasciare l’università Steve non segue i corsi che aveva scelto (secondo taglio), ma ripiega sulla calligrafia, che costava meno e a cui però si appassiona. Da questa difficoltà, però, nasceranno i rivoluzionari font della Apple, che richiedono una macchina informatica talmente plastica da saper trattare una cosa tanto antica quanto la calligrafia! Da una rinuncia, da un taglio, da un trauma, che provoca una scelta bizzarra e inusuale, controcorrente, nasce l’invenzione.

Progetti per il futuro?

Un nuovo libro. Ma per il momento è ancora un’idea.

  Cinzia Ficco


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