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Laura Corraducci

Creato il 19 maggio 2011 da Viadellebelledonne
Laura CorraducciLaura Corraducci è una giovane e bravissima poetessa pesarese, con un modo tutto suo,  anticonvenzionale e sorprendente, di rapportarsi alle cose, riuscendo a disvelarne plasticità segrete a cui agganciare le verità del cuore.
Nella sua ricerca nelle pieghe dell’anima, la quotidianità si colora di significati introspettivi, assumendo spesso un’inaspettata centralità.
I suoi versi, di grande maturità stilistica, riescono a collegare in modo ardito i temi della religiosità, della ricerca della verità e del suo contraddittorio manifestarsi, allo scorrere banale delle giornate, ai viaggi quotidiani in treni affollati, alle inutili attese, alle insofferenze del cuore, al desiderio d’altro, ai piccoli dolori.  Renato Fiorito (La bella poesia)

a  Fr.

Per te non cadrà una parola
dalle mie dita
disseterò il ricordo con

lo stesso silenzio di colpe
che sempre ti vidi
montare sulle mani
nutrirò la mente dell’ottimismo
cieco dei tuoi libri
arriverò a sentire la mia
anima guastata rigarmi
ogni notte il palmo delle
mani e pregherò il tuo
orgoglio di accettare questo
premio all’eterna gara di
svuotarti con le dita il
sangue mio dal cuore

***

Stomaco a terra
occhi di polvere
striscio
non lascio orme
ma segni e cerchi
di ventre
avanzo
c’è filo spinato sui fianchi
odore di sabbia intorno
mi giro
basso il cuore respira
veleno d’estate che
s’alza
in questo deserto
la morte si scioglie
nel rame
il male si sbianca
nel sonno
io so
che il destino dei
serpi a me cari
è gioia e speranza beata

 

 ***

Nella mia vita ho passato le ore
a pensare a come sarebbe stato
se avessi smesso a tratti di pensare
avessi preso scarpe gonna e ombrello
lasciando appesi alla noia intrecciata
del mio letto pezzetti appuntiti di coscienza
e corde sbiadite di paura

***

Corona di perle e sudore
leggera la posi sul capo-
-è l’ultimo treno che passa-
la porta socchiusa là in fondo
nel martirio dei sessi
ascolti  placarsi la fame
tra i seni che offri alla notte
c’è il peso e il bianco dell’anima

 

 ***

 

Fiori di loto

Seduto con le spalle al sole
mi piace seguire con le unghie
l’onda incerta del mento
sfiorarti appena il sangue con le dita
cercando nel mistero delle mani
qualcosa che rassomigli ancora
al mio disordine di prima
assorto nel circo dei tuoi verbi traditori
infilo capelli e baci sulle ciglia
rubando a grammatiche d’oriente
il profumo e l’attrattiva
inganno di fine settembre
dolce scorrettezza del pensiero
sorde le parole mi hanno trascinata
nei sapienti giochi dei silenzi come adesso
che parli solo con la curva delle braccia e
mi guardi mangiare un po’di pane
da un prato sconfinato della mente

 

***

Non è il blù striato a
cadere distratto nella rosa
è l’alito del mare che hai
messo stamane nello stomaco
e ti trascini intorno
fra calcoli e bollette
anche se i conti non giocano mai
da questo lato del castello
non è alle catene dei tuoi giorni
che hai giurato fedeltà e eterno amore

***

 

a  N.

Precisa hai caricato la sua fionda
sparato colpi di prova a mezz’aria
sicari a tempo pieno le
pastiglie del tuo drago
bersaglio individuato nella nebbia
sul suolo solo sassi e brandelli di parole

 ***

Sedute in auto ad ascoltare
cori stonati di uomini e  gabbiani
giocarti a ridere sul collo
sentire il sole diventare lava fra
le pieghe scure della gonna poi
seguire alzarsi in volo
sciami di nuvole e timore
un ricordo da uccidere ancora
stilettato fermo immagine nella memoria

***

Sciacquando di nuovo le parole
alla fresca pioggia dell’oggi
noi vedremo il vento di un tempo
clemente tagliare in obliquo la ruota
legnosa dei vizi sfregando forte la fronte
berremo calore dal sole che passa
nei buchi leggeri del petto
piegheremo in fretta la lingua
per sentire con gioia di uccelli
la ferita chiamare i suoi voli spezzati
vigilando sempre su occhi e promesse
ché la ferina arroganza degli anni
non restringa nel fiato dei giorni
l’oscura sete di amore e di Eterno

***

furono presi da un’ardente passione per lei:
persero il lume della ragione, distolsero gli
occhi per non vedere il Cielo
” (Daniele 13, 8-9)

Osso di sangue che esplode
la pelle si sbriciola indietro
cicatrizza la mano in mezzo
alle gambe è sperma di bestia
che scava i ginocchi
non salta
non sputa
non sfiata
labbra tagliate alla lama dei denti
vomito e cielo caduto di schianto
dal fianco di giorni sterrati rumore
di vino raffermo l’odore del piscio
che goccia sui muri mi lava le spalle
io sento che il tempo non crepa
e non vuole crepare
col gelo del grembo che muore
mi inchiodo da sola al
sangue rappreso degli occhi

***

Non è facile discutere con te
la fronte avanza con lo scatto
del dio giusto
il mento incide l’aria
le parole scivolano piano
dai tuoi denti me le
metti in bocca delicata e
soave come un gatto la
lingua del giudizio mi rotola
in gola ruvida e bagnata
mentre soffoco penso
alle porte lasciate spalancate
alle chiavi posate sulle mani
a te altera come una dea
che entri ed esci
dalle stanze della mente appendendo
alle pareti il tuo profumo di vittoria

 

***

C’è una strada di gente
che risale quei muri
con sudari di luna
si cinge la fronte
è in fermento il tuo cielo stasera
la speranza ci cade sugli occhi
come spari di vento nel buio

 ***

a   B.   23 Novembre 2008

All’amore cediamo solo le mani
l’ho scritto e stilato a contratto con Dio
un cerchio bagnato di dita sul mento
e il neon riapre le rughe sui polsi
“la vita ha la linea più lunga dei no”
appesi a rovescia in collari di colpe
si dice che il frutto dei sensi odori di
fuoco sollevi il sangue in onde più alte
ma il fuoco da giorni ha forma di mani
tenerezza sfamata al pianto degli occhi
di notte l’amore si danza così
nel tuo bacio fermato sui palmi

***

 

otto dicembre duemilaotto

Zoppi i miei passi di ieri e ancora
mi affidi le spade dita strappate
di netto lo scudo mi scivola in basso
la paura è vestita di chiaro
i tuoi occhi nel becco dell’aquila
li sento scavarmi le colpe sfranarmi
gli amori negati cucirmi al braccio
un respiro di padre gioirmi addosso
una corona di alloro nel nome
dividimi adesso in parti di lacrime
uguali e fiorire vedrai il Tuo sangue
versato in offerta all’amore

 ***

Virgo Silentium

L’umanità spezzata in  fili di perle
ti scorrono lisci in mezzo alle dita
ginocchia sospese nel fiato dei cani
braccia tagliate da falci di luna
sfigurati millenni ti stancano gli occhi
per la fame d’amore che lava i Tuoi figli
ma il fuoco di schiene piagate
si stinge di nuovo nel bianco del velo

 

 ***

Appoggiata al tuo profumo resto in piedi
a rovescio volando su stomaco pesante
cade a terra il mio violino
non sono più la pecora smarrita
buttata fuori a fischi
dall’uscita laterale salto su
in un cielo alla Chagal trafficato
di veleni da precetti
“Mi perdoni Santità ma in un giorno
come questo votato all’agonia feriale
ci vuole abilità fiabesca a morire
senza suono sul cestino tremante
della vecchia e il telefono bagnato fra le dita”

 

 ***

 

Ho sognato di conoscerTi davvero
di tirarti fuori dai santini della sera
bagnarti i capelli con le dita
sentire la Tua voce finalmente
e bruciare di colpo tutti i libri
conficcarlo nelle viscere
l’Amore che non cede contare insieme
gli errori e i buchi intorno ai fianchi
urlarti addoso i nomi dei miei no
poi ucciderti anch’io mille volte
più di loro
e vederti solo in piedi nella notte
con il sangue ancora caldo dentro
il petto e le carezze vive nelle mani

 ***

 

C’è una scala nei tuoi occhi
esattamente di ventitré gradini
porta diritto alla tua porta triangolare
dopo colazione la percorro ogni mattino
ma all’ultimo scalino finisco sempre
in terra coi denti ed i biscotti sulla porta
gli occhi incollati alla maniglia
ci sarà un perché mio amore coccinella
eppure soltanto quando piangi si intravede
la fessura e allora rapida e furtiva lascio
il plastico del mondo giù in cucina e provo
a cercare il cacciavite che ha la punta di
una stella e aspetta la volta del tuo cielo
per  brillare e dare un senso alla sua notte

 ***

 

Spagna Volume Uno

Sarebbe stato tutto facile l’avessi vista
là inchiodata ai clacson dei sorpassi
l’avrei presa sulla punta delle dita stesa
al Parco Helado de Los Martires chiesto
al gatto del custode di vegliarle i capelli
pallida Carmen senza unghie e troppi
desideri alla tua guerra di libri ed altruismo
ti avrei vista partire con al collo aghi
di vecchio fabbricato e negli occhi
il pianto soffocato di un ritorno

 

 ***

 

Attende Giovanni la parola
per spezzare ancora la sua rete
vuota la pancia stanotte
vuota anche l’agonia
la stringe fredda fra le nocche
puzza di sale e sfinimento
fallire gli anelli del destino
uno dopo l’altro
nel salto monco di un acrobata
spegnersi in ebeti sorrisi di acquavite
e sul molo barili di cloro e varichina

“ Voglia Iddio fare di questo porto d’affondati
  la nuova Cana del vino e degli sposi
  delle ali macchiate dei gabbiani
 la coperta all’amplesso della Luna
 ossigenando di azzurro la speranza
 nella valigia sfondata dei sopravvissuti”

 

 ***

Mi ha accerchiata con furore sapiente
salito sulle gambe è entrato nel ventre
urlava sputava il cinghiale grigio
il seme mi ha messo in vena
il cuore invaso di fumo
il cinghiale mangiava i miei sogni
strappando col muso i capelli
leccava di odio le dita
ho visto il mio sangue arretrare
sentito franare lo spazio
ora tu che mi siedi vicino
con la fronte bagnata del sonno
ignori la bestia silente
innocente mi allacci i tuoi occhi
scordando amato mio dardo
di vestire di pianto l’antica faretra

 

 ***

I bambini del silenzio fanno chiasso
lungo i corridoi della coscienza
sogni di latte andato a putrefarsi
denti rimasti nel ventre delle madri
ninos di latta ammaccata e mani d’oro
mostri lucidati di plastica e sorrisi
intagliati nel buco freddo dell’Inferno
che di giorno spegne ogni sua luce
per rendere più grassa e scintillante
l’infanzia naufragata di tutto l’Occidente

 ***

 

Deus caritas est   (Gv, 4)     a Romy

La testa danza al battito del cuore
ha fame delle mani che tendi ogni sera
al viso giusto di chi in processione sfila
davanti alla tua immorale voglia di levarti
veloce sulle gambe rubare al cervo un solo
balzo saltando le panche desolate e ascoltata
sedere al tuo banchetto con la veste i colori
profumati e freschi delle giostre e mangiare
da signora con le mani ferme il Pane caldo
raccogliendo in quel vecchio fazzoletto
le briciole per i cani azzoppati del tuo Regno

 

 ***

 

Fissare l’adesso
appendendoci il cuore e i polsi
rendere onore all’onore
di essere vivi

 

 ***

l’agenda aperta a giovedì diciotto
scordi di omaggiare con vitelli grassi
il dio stanco del tuo tempo padrona
e schiava del dolore che sopprime
ti addormenti ancora in fertile attesa
le nocche premute a morte sulle paure
resto sola con le dita
a scioglierti con cura
i nodi grigi del silenzio

***

Dagherrotipo di fine ottocento
il tuo ritratto di vetro e polvere
di nuovo risorgi
nel gioco incrociato degli anni
sole e saliva su labbra dischiuse
rivedo d’incanto la notte
i suoi baci rovesciati lì sopra
come gocce rubate di fretta
a una pioggia impaziente d’estate

***

“scrivi poesie felici
lava i malori gli orrori dell’animo tuo”
poesie felici non hanno fortuna
e penso a chi impasta sillabe e luna
un bambino
un attore
il mio Dio
giullare nascosto dentro il tuo Darwin
aspetto ti tocco la giacca vedo
tre rose nascoste dietro un parcheggio
in questo dicembre che appena ci sfiora
“amore guarda le rose sono felici
pulsano il sole nel vento d’inverno”
non senti distratto riparti
e il centro del mondo si sposta di nuovo

***

Krimskrams

negli oggetti lasciati al mio divano
resta impresso l’odore dei tuoi sogni
la penna il notes gli inutili fiorini
l’impronta di una schiena da cullare

***

“Unless you would devise some virtuous lie”   W. Shakespeare, Sonnet 71

 (“ a meno che non voglia tu fingerti virtuose bugie”)

oggi ventinove novembre la docente l.c. è chiamata a decantare
lezioni dalla fredda isola di Albione in un inglese marinato
all’italiana servito a fette in rassicuranti ore di entropia
per edulcorare ammansire rinverdire stimolare titinnare
rinvigorire appassionare temperare ossigenare sollevare
i giovani emisferi italici in lobotomia dolce ed indolore
le madri schierate in fila indiana sotto l’arco giallo del portone
gomme mentolate e complessi di colpa masticati prima dopo
durante la campanella gelata delle otto cartelle e file di nuovo
da aggiornare nei lucidi computer dei dottori della mente

salve a voi uomini e donne di poca fede
ma dai denti acuminati per tutte le risposte

illuminate noi e se possibile –in umile richiesta- una pila
per ritrovare qualche acca e un accento ancora da salvare
un apostrofo in laconica agonia  il senso elementare dell’educazione
ben ripiegato dentro il fondo degli zaini colorati dei piccoli clienti
che importa? Abbiamo fretta e freddo e fantasie da spalmare in web cam
ci aiuti google e i suoi satelliti leggeri nello spazio un po’ di sesso veloce
da imparare a memoria e riscrivere col rosso nei bagni della scuola.
All’ordine del giorno cari emeriti colleghi

è prevista serena occasione (di studiare)
serena  lezione   (da ascoltare)
serena  Finzione   (da applaudire)
di corsa accorrano scaltri e sorridenti i dirigenti della nostra
repubblica  amata per visione accolta acclamata presa e firmata

Gabicce Mare novembre 2010

***

Valzer di voce

la pioggia di gennaio pigiata tutta
insieme in un bicchiere è il suono
che fa l’aria nella gola
danzandoti leggera sull’acqua della lingua
e vibra verso il cielo insieme alla durezza
chiara dei tuoi denti
rendendo a questa terra in pochi istanti spartiti
di note sconosciute per cori innocenti di fanciulli



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