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Alla fine ha alzato bandiera bianca anche l’Istat, ammettendo: la fuga dei talenti/cervelli è un problema. Una notizia passata quasi inosservata, la scorsa settimana, tanto che noi stessi ce ne siamo accorti con qualche giorno di ritardo. Difficile dire se ormai il Paese abbia interiorizzato il problema, o se i suoi media ancora fatichino a comprenderne la gravità… meglio venire ai dati, allora:
-nel corso di un’audizione al Senato, il presidente dell’Istat Enrico Giovannini ha evidenziato come tra il 2001 e il 2010 l’incidenza dei laureati sul totale della popolazione espatriata sia raddoppiata, passando dall’8,3% al 15,9%. L’Istat ammette: col crescere degli anni di studio, aumenta la propensione ad espatriare. L’indagine ha coinvolto i laureati che hanno conseguito il titolo nel 2007: va anche precisato che assomigliano molto a quelli già pubblicati su questo blog quasi un anno fa (clicca qui per leggere il “post”). Anche in questo caso, ci vediamo obbligati a rimarcare come siano in forte odore di incompletezza: appaiono per lo più dati per difetto.
-andando più in profondità, l’Istat ci spiega come la propensione a spostarsi all’estero sia maggiore nei laureati in materie scientifiche: seguono i “dottori” in discipline umanistiche e politico-sociali, quelli in materie economico-statistiche, fino ad arrivare all’area medica e giuridica.
-si conferma un trend in atto da diversi anni: sono i “dottori” delle università del Nord ad emigrare, seguiti da quelli del Centro e del Mezzogiorno.
-mete di destinazione: nell’ordine, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Svizzera. Fuori dall’Europa, dominano gli Stati Uniti.
-interessante il “matching” tra lauree di origine e Paesi di destinazione: in Gran Bretagna prevalgono i laureati di area scientifica ed economico-statistica, in Spagna quelli dei gruppi linguistico e politico-sociale, in Francia gli ingegneri e i laureati di area scientifica.
-occupazione: il 64% dei laureati 2007 sono ora occupati all’estero, il 10,9% in cerca di lavoro, il 24,1% è inattivo – quasi certamente perché impegnato in un dottorato.
-molto interessanti le tipologie di contratto: tempo indeterminato e determinato raccolgono ben l’80% dei casi (12% in più rispetto ai colleghi rimasti in Italia), meno diffusi i lavori autonomi e stagionali. Oltre la metà dei laureati svolge un lavoro da dirigente o ad elevata specializzazione, contro il 42% di chi è rimasto qui.
-ancora più interessante il fronte retributivo: i laureati che all’estero svolgono un lavoro continuativo e a tempo pieno guadagnano mediamente 540 euro in più, rispetto ai colleghi “italiani”, a parità di condizione di lavoro.
-infine, i motivi dell’espatrio: per il 64% del campione prevale la possibilità di trovare un lavoro più qualificato all’estero. Segue il 61% di migliore salario, e il 51,8% di motivazioni legate al Paese di destinazione, all’avanguardia nel settore di interesse.
Non finisce qui: non solo perdiamo intelligenze (come certificato dall’Istat), ma neppure ne attraiamo: secondo dati dello European Migration Network Italia, gli studenti stranieri presenti nel Belpaese equivalevano nel bienno 2011-2012 solo al 3,8% sul totale della popolazione studentesca. Molto al di sotto della media europea. Per non parlare delle medie di Germania (10,7%) e Gran Bretagna (21,6%).
I dati continuano insomma a raccontarci un Paese che perde talenti a senso unico, senza attrarli e neppure riportarli indietro. Una perdita netta, in termini di saldo di cervelli. Ormai gravissima e insostenibile.
Nella migliore tradizione italiana, continuiamo intanto a mettere le persone sbagliate al posto sbagliato (solo nella Penisola potevamo immaginare di mettere un professore di educazione fisica, ex-promotore finanziario, considerato vicino all’ex-Ministro dell’Istruzione Gelmini, a dirigere l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – poi non lamentiamoci se sbagliamo, e sbaglieremo, tutte le mappe sismiche…).
Speranze? Guardiamo con fiducia agli esiti del Decreto Sviluppo: due capitoli sono decisamente interessanti. Parlo del credito d’imposta per l’assunzione di personale qualificato (35%, con un limite massimo di 200mila euro annui), e dei finanziamenti agevolati alle aziende che investono in progetti di “green economy”, assumendo giovani under 35 e giovani laureati. Due spunti lodevoli: speriamo riescano ad incidere positivamente, in un contesto di fuga generalizzata.
Chiudo questo “post” con l’appello lanciato dal movimento de “La Meglio Gioventù“. Parole su cui è d’obbligo riflettere:
La meglio gioventù del nostro tempo
Sostiene questo Paese con idee, desideri, progetti, volontariato, azioni concrete, scopre nuovi mondi e inventa il futuro eppure è sempre disoccupata, in cerca di lavoro, precaria, senza stipendio.
Studia per dare il meglio di sé e migliorare le vite di tutti e di tutte, ma una volta laureata è costretta ad andarsene.
E’ composta di giovani donne che vivono in un Paese ancora a misura di vecchi modelli maschili, giovani donne che non trovano alcuna opportunità.
Produce ricchezza e non ha niente in cambio: i giovani operai perdono il lavoro; i piccoli imprenditori sono costretti a chiudere l’attività.
Lavora ma in nero e sul lavoro rischia la propria vita e a volte la perde, perché non ci sono tutele e perché allo Stato e alle imprese spesso non interessa investire in sicurezza.
L’arricchiscono ragazzi nati in Italia da genitori immigrati in Italia e che non sanno se in futuro saranno riconosciuti italiani.