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Lavazza, tre chef e il coffee design

Da Anna Maria Simonini @AMSimo
LavazzaBis

“Il caffè è passato dall’essere un ingrediente puro, senza storia, al ruolo di protagonista delle ricette, ovviamente non di tutte ma di quelle pensate in modo specifico”: c’è in questa frase di Francesca Lavazza un po’ la sintesi dell’evoluzione che il caffè ha vissuto in questi ultimi anni nel mondo della gastronomia. Da un lato il suo ruolo è profondamente cambiato e non è più solo quello di tazzina di fine pasto, dall’altro questa crescita non deve diventare moda e quindi contaminazione acritica di qualsiasi piatto con il caffè. In questo senso Lavazza parla da tempo di coffee design (dove design va inteso come progettazione e ricerca, non deriva estetica), un percorso di “arte applicata” che oltretutto rimanda a quello che l’azienda ha seguito nel campo più tradizionale del design applicato agli oggetti, dalla caffettiera Carmencita in poi.

Lavazza stavolta ha deciso di portare il coffe design proprio in mezzo al design in senso lato, nel cuore del Fuorisalone 2013, coinvolgendo Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo e Davide Oldani, tre degli chef con cui Lavazza ha condotto le sue sperimentazioni a partire da quella, storica, avviata nel lontano 2000 con Ferran Adrià (“che continua e che è diventata anche una grande amicizia”, sottolinea Francesca Lavazza) e con i quali ha iniziato in queste settimane una nuova ulteriore collaborazione che li vede anche come testimonial. L’idea era quella di approfondire il ruolo del caffè nel “progettare” un piatto e il suo gusto, l’argomento però ha fatto da spunto per toccare anche altri temi più trasversali.

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Francesca Lavazza con Massimo Bottura

Così è stato per il Come to Italy With Me di Bottura, che di suo è una rivisitazione in chiave salata e servita in tazzina della tradizionale granita siciliana, composta da granita di mandorle, bergamotto, capperi, origano, sale marino, scorze di limone e polvere di caffè. Ma il piatto è servito anche a trattare come nasce una ricetta (“I piatti che invento sono risposte a domande, anche astratte, che mi pongo”, ha spiegato Bottura, e approfondendo scopri che Come to Italy rimanda a un libro degli anni ’30 di Frank M. Schoonmaker) e per toccare un tema attuale: “Con Come to Italy abbiamo voluto ricreare i sapori di certi momenti della Sicilia, gli odori che ti fa sentire le brezza estiva di Pantelleria… Far riscoprire, o scoprire, i sapori dell’Italia è anche una forma di orgoglio per un Paese come il nostro, che ha cose meravigliose, proprio ora che tutti ne parlano male… Nel nostro piccolo, alla Francescana abbiamo cercato di farlo”.

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Antonino Cannavacciuolo

Cannavacciuolo usa il caffè nel suo famoso Tonno vitellato e per il caffè rivendica una scelta di campo in tempi, per così dire, non sospetti: “Mi sono legato a Lavazza nel 1999 e allora mi dicevano che un grande ristorante non poteva fare una scelta del genere”. Una scelta per la quale Cannavacciuolo conta ora molte “conversioni”, accomunandole ad altre legate all’utilizzo di alcuni ingredienti, come ad esempio la mozzarella di bufala e la pasta di Gragnano, assai poco considerati quando aveva cominciato a lavorare nell’area piemontese (Villa Crespi è a Orta San Giulio) e ora invece ampiamente diffusi. Con Cannavacciuolo si è discusso del rischio della moda-caffè: “Per usare il caffè nelle ricette ci vogliono studi precisi, non lo si può mettere dappertutto… Il caffè è ‘forte’ di suo e sovrasta certi sapori: è preferibile abbinarlo con la carne che non in generale sul pesce, più delicato”.

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Davide Oldani

Con il più “pop” e designer dei tre chef (Oldani ha realizzato con Lavazza anche diversi oggetti, non solo ricette) siamo tornati un po’ inaspettatamente a un grande classico: Escoffier. “Escoffier diceva – ha spiegato Oldani – che in una carta armonica non devono esserci ripetizioni, il caffè permette di farlo perché può essere usato come polvere, in chicchi o come profumo… Manca la variazione cromatica, ma si può lavorare per cambiare il colore del caffè in maniera naturale, attraverso l’infusione“. E il design, per chiudere il cerchio? “Dev’essere funzionale, io ho iniziato provando a realizzare ciò che non trovavo sul mercato e che secondo me serviva per valorizzare al meglio il cibo”.


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