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lavoro, azione e depressione

Creato il 04 luglio 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

lavoro, azione e depressioneNon più di un paio di generazioni fa, al levar del sole, poco dopo il canto del gallo si poteva udire il canto dei lavoratori  che si apprestavano a raggiungere il posto di lavoro. Artigiani, contadini, commercianti, pastori, casalinghe, garzoni e vari altri iniziavano la giornata cantando o canticchiando. Uno sguardo al cielo, come per salutarlo, una ricca colazione ,una sigaretta e via … sulle note di un motivetto ognuno al suo lavoro.

Sappiamo tutti delle difficoltà del dopoguerra: povertà, malattie, sacrifici, penurie varie, ma l’uomo sapeva essere felice ed allegro pur non essendo affatto spensierato; la vita era dura ogni giorno ed il lavoro era soprattutto fatica fisica mentre gli agi non erano quasi contemplati; non esisteva il concetto di turno di lavoro, non esistevano…

i sindacati ed i diritti del lavoratore, ma le persone erano sempre allegre, dinamiche, piene di energia e di voglia di vivere. Paradossalmente  proprio nel lavoro, apparentemente così ingrato – tanta fatica e pochi denari -, l’uomo trovava la migliore espressione di se stesso ed il miglior appagamento personale; il lavoro quale canale preferenziale per manifestarsi agli altri e realizzarsi, sfoderando le proprie doti, energie, capacità ed abilità. Un nucleo cognitivo, attivante la preziosa fierezza personale, era la sana gara fra pari a chi facesse meglio lo stesso lavoro.

Le donne si prodigavano fiere in mille arti: cucito, ricamo, cucina,  cura della prole ecc.; gli uomini oltre al proprio lavoro si esibivano orgogliosi in mille mestieri: calzolaio, elettricista, falegname, meccanico il fai da te era prassi normale esercitata nel tempo libero e nelle festività. L’essere umano, una creatura fantastica che con le sue mani forgiava il mondo e ne godeva immensamente conquistandosi quel titolo di Principe dell’Universo. Quell’uomo non conosceva la depressione. Poi piano le cose son cambiate, il bum economico, la modernizzazione ed il miracolo delle macchine che hanno suggerito all’uomo la possibilità di ottenere risultati senza faticare: macchine per spostarsi, macchine per cucinare, per lavare la biancheria, macchine per cucire, per stirare, per tagliare la legna, per congelare gli alimenti, macchine per cuocere fino all’invasione dell’elettronica e della magica rete.

Nel mondo del lavoro le macchine sono meravigliose: sfondano la terra e conquistano il cielo, le comunicazioni consentono in tempo reale di attraversare il mondo azzerando la componente del tempo e dello spazio, le macchine raccolgono i frutti e mungono il latte, fanno il pane, i formaggi, i salumi, le marmellate, clonano anche le forme viventi. Oggi ai vari strumenti abbiamo affidato quasi tutta la nostra vita: godiamo di ausili vari per far divertire i nostri bambini, che riescono a stare ore da soli appartati e muti senza tediare i genitori; disponiamo di strumenti che cucinano in pochi minuti; strumenti che ci informano in tempo reale se il vecchietto  di famiglia che vive da solo ha un infarto oppure no; se il bambino nella culla sta dormendo oppure no; strumenti che consentono ai ragazzi di fare una ricerca in pochi minuti invece di star li a logorarsi  fra i libri per tutto un pomeriggio ed una notte; abbiamo il cellulare in tasca che ci consente di curare contatti e relazioni sociali in ogni parte del pianeta magari mentre comodamente distesi sul letto il corpo riposa. L’uomo si è talmente organizzato che ha smesso di faticare aumentando il tempo a sua disposizione, ma si è depresso e non canta più mentre va al lavoro.

 Mai come in questa nostra epoca si è notata una così alta percentuale di depressione. Proprio nel momento in cui abbondano i confort e le comodità l’uomo accusa disagio di vivere, che è successo?! Il padre della psicologia S. Freud non a caso mise in evidenza il concetto di “principio del piacere” quale motore determinante nella vita dell’uomo. Il piacere come ricompensa psicologica che consente all’essere di fronteggiare qualsiasi fatica, sforzo, impegno e privazione. Nel nostro cervello, probabilmente al servizio della legge evolutiva, esiste un Centro del Piacere con il compito di spronare l’uomo continuamente a superare i suoi stessi traguardi; detto luogo è strettamente connesso al sistema motorio ed  ai processi di pensiero (azione finalizzata). Il massimo del piacere per l’essere umano è quello che realizza dai risultati positivi prodotti dalle sue stesse azioni dove la fatica necessaria all’esecuzione dell’azione è direttamente proporzionale al piacere che se ne ricaverà. A detta esperienza di piacere è collegata l’idea dell’autostima e del valore personale: sentirsi capaci, adeguati, potenti, esperienze che producono nella mente frequenze positive che espandendosi a tutto il campo mentale danno luogo all’ambito “benessere interiore” e gioia di vivere.

 Viceversa uno stile di vita passivo da utente consumatore ad oltranza, privo di fatica motoria ed impegno mentale, non producendo autentico piacere,  svilisce qualunque risultato e tutto diventa noioso e routinario dando luogo ad apatia e  depressione.

 

Elisabetta Vellone


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