“Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori. La voglia di buttarsi, di investire, di innovare”: così parlò Matteo Renzi, pochi giorni prima di presentare il suo Jobs Act alla direzione Pd. Poi è arrivato il suo “piano per il lavoro”, anch’ esso un bel sasso nello stagno che ha riaperto il confronto sul come uscire dalla crisi in tempi accettabili dalla sempre più acuta crisi sociale causata dalla non occupazione. Renzi aggiunse che l’ Italia doveva “uscire da questa situazione di Bella addormentata, deve rompere l’ incantesimo. Per farlo c’è bisogno di una visione per i prossimi anni e di piccoli interventi per i prossimi mesi”. Quel ‘piccoli interventi’, ci permetta caro Sindaco, davvero è troppo poco, visto che ancora siamo nella fase dell’evitare altre decine di migliaia di licenziamenti (Electrolux, precari in tutti i settori, desertificazione industriale…).
La visione ci vuole, dunque il piano. Che però non si realizzano in pochi mesi (solo per il ‘codice’ Renzi ne ha chiesti otto). La priorità è togliere non occupati dalla strada, soprattutto giovani, è dar loro ‘il’ lavoro: non ‘un’ lavoro, il che vuol dire già avviare la realizzazione della “visione”. Da subito, con un provvedimento-tampone come quello proposto da Pellegrino Capaldo per la Fondazione Nuovo Millennio – Per una Nuova Italia. Subito, “Prima che sia troppo tardi”. Renzi dialoghi anzitutto con la ‘minoranza Pd’, che ha ieri rilanciato il proprio decalogo sul lavoro e che non sembra ancorata a obsolete pregiudiziali ‘laburiste’, poi vada anche a casa del diavolo, se serve. “Oggi il problema del lavoro è essenzialmente macro-economico – ha giustamente osservato Stefano Fassina ieri- e per affrontarlo bisogna correggere prima di tutto la rotta della politica economica in Europa”. Ma mentre i medici discutono, il paziente crepa.Gian Paolo Vitale