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Lavoro, si cambia

Creato il 23 marzo 2012 da Oblioilblog @oblioilblog

Lavoro, si cambia

Si parla almeno da un paio di mesi di riforma del lavoro, ma a prendersi i titoloni di giornali e telegiornali sono più gli scontri verbali tra le opposte fazioni che il contenuto reale della riforma. La svolta è importante e non si limita all’articolo 18 e solo il tempo ci dirà se il cambiamento è positivo. Quello che è sicuro è che solo un governo tecnico, noncurante dell’umore degli elettori, poteva portare avanti una tale trattativa che si è chiusa senza la concertazione classica con i sindacati che ha accompagnato decenni di riforme del welfare e del lavoro. Le misure sono ancora provvisorie visto che si annuncia una lunga battaglia parlamentare.

Per evitare il precariato, verrà introdotto l’apprendistato che sarà lo strumento principe d’inserimento nel mondo del lavoro. Le aziende potranno farvi ricorso a patto di assumere una parte degli apprendisti. Rimane il contratto a tempo determinato per il quale però i datori dovranno versare un contributo fiscale extra dell’1,4%.

Rimane la cassa integrazione straordinaria ma non varrà per cessazione di attività e di mobilità. In caso l’azienda termini l’attività, si passerà all’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego, che partirà dal 70% per gli stipendi fino a 1.250 euro e il cui limite massimo è 1.119 euro al mese. 

Verrà introdotto il divieto di firmare le dimissioni in bianco al momento dell’assunzione e sarà inserita, per tre anni in via sperimentale, la paternità obbligatoria. La norma è a tutela delle donne costrette a lasciare il lavoro in caso di gravidanza.

L’articolo 18 diventa si amplia e diventa più elastico. Verrà ritenuto discriminatorio un licenziamento avvenuto per motivi sindacali, politici, religiosi, razziali, linguistici, sessuali, di età o di convinzioni personali, quando è in concomitanza col matrimonio oppure dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino o dalla domanda  o dalla fruizione del congedo parentale e per malattia del bambino. In questo caso il giudice, il cui ruolo diventa centralissimo all’interno delle dispute lavorative, potrà ordinare il reintegro (che già ora nel 90% dei casi è sostituito, per volere del lavoratore, da un indennizzo) e il risarcimento commisurato all’ultima retribuzione globale dal giorno del licenziamento al reintegro e il pagamento dei contributi.

Saranno ritenuti disciplinari i licenziamenti per giusta causa (comportamento grave che non consente la prosecuzione del rapporto) o per giustificato motivo (notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore). Davanti al giudice spetterà al lavoratore l’onere della prova e nel caso riesca a dimostrare l’insussistenza delle motivazioni del datore di lavoro sarà decisa la risoluzione del rapporto di lavoro e la condanna del titolare a un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità. Sarà disposto il reintegro (o l’indennità) se le malefatte attribuite al lavoratore non vengono verificate o se rientra tra le norme previste dal contratto collettivo.

Il nodo gordiano sono i licenziamenti per motivi economici. L’interruzione del rapporto lavorativo per giustificato motivo oggettivo avviene per ragioni che attengono all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Vale a dire nel caso di crisi dell’impresa, cessazione di attività o del venir meno delle mansioni a cui era assegnato il lavoratore il cui ripescaggio in altre mansioni non è possibile. Prima del licenziamento è prevista una procedure di conciliazione in cui il lavoratore è assistito dai sindacati. Se la conciliazione porta alla risoluzione consensuale, il lavoratore sarà aiutato nel ricollocamento. Se invece terminerà con il licenziamento, non si avrà più diritto al reintegro ma solo al pagamento di un’indennità tra le 15 e le 27 mensilità.

Fonte: Corriere


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