Man mano che i giorni passati a Madrid si allontanano passa anche il cerchio alla testa e dalla follia dei primi due post (uno e due) sto passando alla seconda fase. Non esistono infatti solo le famose 5 fasi del dolore bensì anche le 5 fasi del trauma post-viaggio.
In questo contesto esamineremo il caso specifico del paziente Girotrottolando da poco rientrato da una tipologia di viaggio breve, ma particolarmente dolorosa: Il ritorno all’origine, dove tutto iniziò, dove venne ingerita la prima dose di trottolamento che causò dipendenza immediata e irreversibile.
Per ora analizzeremo solo le prime due fasi con i relativi sintomi, lasciando ai prossimi articoli il resto della diagnosi:
Fase 1: il delirio
Caratterizzata da: spaesamento, confusione, incredulità, vaneggiamento, insensatezza, allucinazioni e dislessia.
Appena sperimentata nei precedenti due articoli in cui vaneggio sull’uso dei condizionali e mi lascio sedurre come una squinternata da magiche previsioni del futuro
Fase 2: l'alienazione
I sintomi sono: distacco dalla quotidianità, nettamente rifiutata, e immersione profonda e malinconica nel tranquillizzante mondo dei ricordi.
Relativo al presente articolo.
Ricordo quel 3 settembre del 2008. Tutto l’aeroporto si era trasformato in una sala d’attesa del reparto di ginecologia.
A partorire ero io.
Il travaglio iniziava con quell’aereo Ciampino-Madrid e sarebbe finito 10 mesi più tardi quando, tornando a casa, partorii me stessa. Figlia della crescita e del cambiamento. Rinata sotto il segno della ñ.
Non fu l’erasmus a cambiarmi. L’erasmus fu solo una delle mie scuse, un’ottima scusa, per slittare via con la solita nonchalance.
A cambiarmi fu tutto il resto. Perché la nausea di discoteche e crazy nights è arrivata presto, insieme alla consapevolezza del perché ero andata lì. Consapevolezza che per me arriva sempre dopo l’azione. Ecco perché perdo anche al Monopolino con i bimbi di 6 anni. Non sono fatta per i giochi di strategia. Le mie strategie sono sempre a posteriori. Quindi a quel punto già non sono strategie bensì conseguenze a catena inarrestabili che mi corrono dietro in stile tsunami. Onde sempre più grandi che non vedono l’ora di travolgermi. E allora a quel punto, l’unica cosa da fare è correre, correre, correre…
Ipnotizzata dalla canzone..ancora subisco gli strascichi dello smarrimento della prima fase…
Dicevo?? Si, l’arrivo della consapevolezza in quel di Madrid. Quale consapevolezza? Quella di voler mettere radici. Una forte spinta verso il basso, come se d’improvviso avessi iniziato a percepire la forza di gravità e le mie gambe non fossero abbastanza forti per resistergli. Sprofondai fino alle ginocchia, impossibilitata a muovermi dalla capitale madrileñia fino a nuovo ordine del mio cervello narcotizzato.
Quale fu dunque la mia strategia a quel punto??
Ciò che feci fu allontanarmi da quegli Erasmus strilloni mentre il destino lavorò per me lanciandomi in una piccola casa dai mille colori, popolata da esseri altrettanto colorati, incluse persone, gatti e peluche parlanti, dove si poteva inciampare in sceneggiature di film, quadri di Botero, Madonne messicane, bottiglie di Brugal e alberi di natale allo stesso tempo.
Accadevano cose strane in quella casa…
Gatti che si credevano leopardi e sognavano banane...
Responsabili di negozi per bambini che si sentivano Drag Queen
Chi cercava di diventare rapper
E chi praticava arti magiche
Fu da lì, a partire dalla casa surrealista di Tirso de Molina, che Madrid smise di essere, se mai lo fosse stata, una città di passaggio, meta di sbronze ed eventi irripetibili che “se non lo fai in Erasmus non lo fai mai più“, per divenire qualcosa che ritenevo di non aver mai avuto…una casa.
Scavalcai quel confine tra chi passa e chi resta e da Erasmus diventai apprendista spagnola!
DA ERASMUS (si, sono proprio quella con i capelli rosa)....
...AD APPRENDISTA SPAGNOLA! (qui dopo aver cucinato la tortilla!))
Quello che vissi in quei 10 mesi mi legò per sempre ad una città dalla quale non posso stare lontana per più di 6 mesi in seguito ai quali ricomincio a fumare, se ho smesso, a monitorare il sito di Ryan air ogni 8 ore aspettando un gap nel sistema che mi faccia trovare un biglietto a 1 euro, a rubare monetine dalla Fontana di Trevi, a bere solo Red bull (non sia mai che il gap di Ryan sia di notte) ed a lanciare il tappeto dalla finestra nella speranza che prima o poi si metta a volare.
Questi forti segni da astinenza si attenuano non appena in qualche modo riesco ad arrivare volteggiando a Barajas, iniettandomi una sana dose di spagnolismo endovena. Per farli scomparire del tutto dovrò ripercorrere con minuzia ogni piccola tappa, ogni angolino, ogni centimetro, non della città, che di per se è solo una delle tante belle capitali europee, bensì di quelle parti della città che si sono appropriate di me.
Ciò che devo fare ogni volta è quindi rimettere insieme i vari pezzetti di Sara sparsi in giro, e sentirmi di nuovo, finalmente, anche se per poco tempo, completa.
Un cuore perso...uno dei tanti...forse il mio. Calle de Alcalá, Madrid, Ottobre 2012