Come anticipato la volta scorsa, ci spostiamo quest’oggi in Indonesia, nel Sud Sulawesi, per approfondire la conoscenza di uno fra i riti funebri più lunghi e complessi del mondo. A praticarlo è una popolazione indigena chiamata Toraja, composta da oltre un milione di individui, di cui circa 450.000 vivono nella reggenza di Tana Toraja, la terra di Toraja. In seguito all’occupazione olandese dei primi del Novecento, attualmente la popolazione è per la maggior parte cristiana, altri sono musulmani, ma i riti funebri conservano tracce evidenti di pratiche che non afferiscono né all’una né all’altra religione, ma a credenze animiste conosciute con il nome di aluk (la via), riconosciute dal governo del paese come aluk to dolo (la via degli antenati).
Per i Toraja la morte è anzitutto un’occasione di celebrazione pubblica piuttosto che un momento cordoglio riservato a pochi intimi, è un importante momento di aggregazione sociale che, quando muore un personaggio abbiente, riunisce anche migliaia di persone per più giorni di seguito. Sì, perché come avviene in molte culture, il rito funebre (rambu soloq) ha costi elevati e, per quanto la morte come condizione sia comune a tutti (a livella), le celebrazioni, i sacrifici e le sepolture differiscono alquanto, a seconda che il morto sia ricco o povero… Quando muore qualcuno, i suoi famigliari si occupano di far allestire il sito cerimoniale (rante), in un grande campo erboso dove possano essere ospitati ricoveri per il pubblico, depositi per il riso e altre strutture ancora.
La musica e la danza sono un elemento fondamentale delle celebrazioni. Grande protagonista è il flauto di bambù pa’suling, che accompagna i canti e le benedizioni recitati in onore del defunto. Il ballo serve a esprimere dolore per la scomparsa, ma anche per rallegrare la persona deceduta e per ricordarne il coraggio (ballo ma’randing, eseguito dagli uomini) o la generosità (danza ma’katia, eseguita dalle donne anziane) Il culmine della festa, tuttavia, è rappresentato dal sacrificio di animali. Se nelle Filippine gli Igorot macellano polli e maiali per l’occasione, i Toraja aggiungono anche i bufali d’acqua – preposti a scortare l’anima nel suo cammino ultraterreno –, che possono cadere a decine o a centinaia, pur di assicurare al defunto un viaggio più celere verso l’aldilà, la terra delle anime (puya). Il tutto avviene di solito in un’area di polvere e terra, senza canti e senza silenzi comandati. Più il boia è esperto, più la morte degli animali, che vengono sgozzati con il machete, sarà veloce e applaudita dagli astanti. Le carcasse, a macellazione avvenuta, saranno allineate in attesa del loro proprietario. Dopo il sacrificio degli animali, di nuovo prende il sopravvento la musica, con gruppi di ragazzi e ragazze che battono le mani durante l’esecuzione del ballo ma’dondan.
Durante tutta questa fase, che può durare anche molto tempo – tutto quello che è necessario a raccogliere i fondi per pagare il funerale – il cadavere sta a guardare… ). Opportunamente preparato, viene avvolto in strati di tessuti colorati e decorati e attende il momento del commiato definitivo sotto la tongkonan, la palafitta dal tetto allungato tipica dell’architettura locale. Dopodiché è finalmente portata nel luogo della sepoltura. Se vi ricordate, parlando dei Bo e degli Igorot, vi avevo descritto le bare appese a pareti di roccia e scogliere – e così avviene anche per i Toraja meno abbienti o per le sepolture dei bambini. Quanto ai Toraja più ricchi, anch’essi vanno in alto, ma il luogo preposto all’inumazione ha un che di straordinario: si tratta infatti di vere e proprie nicchie scavate nella roccia, dove viene incassato il cadavere contenuto nella sua bara, insieme ai beni che gli serviranno nell’aldilà. Al posto della sua fotografia, a fare la guardia alla tomba – e anche dei vivi – è una statuetta di legno o bambù che riproduce le fattezze del defunto e denominata tau tau. Queste statuette attirarono l’attenzione dei collezionisti, e a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso divennero oggetto di saccheggi. Non era raro vederle esposte in mostre e musei, tra cui lo Smithsonian Institution nel 1991. Questo per dire che, ironicamente, più che proteggere i vivi i tau tau dovrebbero proteggersi dai vivi…
Se credete che sia tutto finito, vi sbagliate di grosso. Ogni anno ad agosto, infatti, la comunità procede all’riesumazione dei corpi, che vengono puliti, profumati, vestiti di fresco e portati in processione intorno al villaggio nella cerimonia ma’nene, per poi essere nuovamente sepolti e tornare a vegliare dall’alto i vivi della comunità.
Video sui canti funebri Toraja
Video sul sacrificio del bufalo
Video sulla processione dei morti