Sono morte il 7 gennaio, assassinate da qualcuno entrato clandestinamente nella loro casa, scardinando il portone d’ingresso. Ne ha parlato anche la stampa egiziana. Perché le signore Laudy e Sofi Andraus, figlie di quel Tawiq Pasha Andraus che fu uomo di spicco nell’Egitto di re Faruq, erano l’ultimo baluardo rimasto della Luxor dei bei tempi andati. E la loro splendida casa d’inizio Novecento, proprio di fronte all’imbarcadero dei traghetti sul Nilo, era il simbolo della resistenza alle devastazioni degli anni recenti (di cui anche noi abbiamo brevemente parlato) che hanno reso moderna la città privandola di ogni anima. La casa era gemella di un’altra che col tempo era diventata sede del Partito democratico nazionale, perdendo probabilmente all’interno molto dell’atmosfera antica, e che nel 2009 aveva subito la furia demolitrice dell’allora governatore Samir Farag. Mentre per l’abitazione delle Andraus, il governatore decretò che sarebbe stata risparmiata finché le due anziane signore fossero rimaste in vita. Stiamo parlando di case dichiarate da tempo di interesse architettonico e monumento nazionale, dove Andraus vi aveva accolto re e regine, e anche il padre della nazione egiziana Saad Zaghloul. Così ora, per scongiurare una possibile demolizione, è subito scattata una mobilitazione internazionale e fioccano i messaggi nell’attivissima pagina Facebook Save the Luxor Temple House. Fa tristezza però non leggervi nulla sulle due signore, tra tanta preoccupazione per la sorte della loro casa. Siamo diventati così cinici da pensare alle pietre dimenticando le vite umane, per quanto avanti negli anni? Comunque pare che il nuovo governatore non sia intenzionato a demolire la casa, anche se bisogna vedere cosa ne farà. Mentre temo che delle due anziane signore non si ricorderà proprio nessuno, e dunque lo faccio io che qualche anno fa le ho conosciute.
Entrare nella loro casa è stato un viaggio nel tempo. Mi ci portò Natalino, preziosissimo tuttofare copto capace di farmi ricevere da Farag in un battibaleno. Dopo il lavoro, mi chiese di andare con lui a far visita alle “zie”. Acconsentii senza sapere bene dove sarei andata, per semplice gentilezza e riconoscenza verso Natalino. Fu così che mi trovai a varcare la soglia di quella casa senza neppure avere il tempo di stupirmi: Laudy e Sofi mi accolsero subito con un calore inconsueto. Le ricordo belle, austere, eleganti nei loro splendidi abiti d’un tempo, e poliglotte come lo furono solo i cosmopoliti mediterranei del secolo scorso. I modi amabili di Laudy e Sofi dicevano tutto della loro vita, vissuta nel bel mondo alessandrino d’un tempo, e continuata in quella grande casa dall’enorme scalone, i tappeti preziosi, i bei mobili di legno intarsiato arricchiti da suppellettili mai banali. Bellezze oramai sbiadite in un’atmosfera che l’incuria evidente aveva reso triste e cupa. Rimasi lì un paio d’ore, sorseggiando tè ed evitando con imbarazzo i pasticcini, peraltro ottimi: mentre addentavo il primo, un topo attraversò rapido il salone. Poi ne passò un altro e un altro ancora. Mi sono chiesta mille volte in quali condizioni fosse il piano superiore, su in cima allo scalone. Le due signore non avevano più la forza, o forse la voglia, di gestire una casa così. Dopotutto, gestirla per chi e per cosa? Era chiaro il loro isolamento, la loro solitudine a parte le saltuarie visite dei nipoti. Era chiaro l’abbandono da parte di tutti, in una città dove nessuno era più come loro. Il loro mondo fu cancellato da Nasser con un colpo di spugna: al Cairo e Alessandria sopravvive ancora in qualche impavido e nostalgico anfratto, ma laggiù a Luxor è scomparso da chissà quanto tempo. Io quel giorno, giornalista, europea, poliglotta come loro o quasi, le ho riportate per qualche ora alla loro vera vita. Ecco perché Natalino aveva insistito per portarmi da loro: per donare loro un po’ di vita. Non mi avrebbero mai lasciata partire. Ho dovuto promettere mille volte di tornare a trovarle, mentre chiudevano alle mie spalle il portone troppo grande per loro. Non sono più tornata.
Effe