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“Le armonie di Werckmeister” Béla Tarr – László Krasznahorkai

Creato il 05 gennaio 2015 da Temperamente

Le armonie di Weckmeister è un film del 2000 girato dal regista ungherese Béla Tarr insieme a László Krasznahorkai e Agnes Hranitzki, rispettivamente scrittore (dal cui libro è stato tratto il film) e montatrice. Difficilmente riesco a resistere alla tentazione di guardare un film di cui ho letto il libro: fare il paragone, confrontare, stupirmi e arrabbiarmi tra le due opere è un invito troppo allettante per rinunciarvi. Ho aspettato un po’ per guardare il film – forse un po’ perché mi spaventava la lunghezza (139′) unita al bianco e nero unita ai sottotitoli – fin quasi a dimenticarmene; poi, quasi per caso, se esiste il caso, in una rassegna di tutt’altro tipo ho assistito alla proiezione dei primi dieci minuti del film, e questo ha scatenato la mia voglia.

Fa freddo, freddissimo, in questo film: il vento tira forte sul bavero di János il protagonista così come sul cappotto degli altri abitanti  e sugli alberi e le strade ghiacciate della cittadina in cui arriva il circo della Balena e del Principe. Uno scalcinato, bizzarro circo, giunge nel cuore della notte nella città e si piazza al suo centro con il suo enorme carro. All’interno, l’attrazione principale: la carcassa di una Balena oceanica. La gente guarda immobile e terrorizzata l’impresario pronto a staccar biglietti per la Balena e János, come attratto da una forza irresistibile, monta per primo sul carro. Si avvicina piano all’animale morto e lo guarda negli occhi ancora aperti: è una scena molto intensa, sottolineata da una musica fortemente lirica (Arvo Part). Dall’arrivo della Balena in città iniziano sommosse, assalti e ruberie in città, come se si fosse risvegliata una forza malefica e una rabbia improvvisa si fosse impossessata degli abitanti, rendendoli facinorosi ed esagitati.
Come nelle peggiori e nelle più classiche delle dittature, presto compare una lista di nomi invisi e, come da copione, compare anche il profeta sobillatore delle masse inviperite: è il Principe, creatura deforme di cui si ode soltanto la voce, che inneggia con discorsi di predominio e rovina. Bisogna attaccare, distruggere e ricreare, non pensare perché  il pensierò è nulla. Questa in breve la sua filosofia, che diventa il suono del “la” per sfogare la rabbia su edifici e servizi pubblici. Scoppia il putiferio, la città viene messa a ferro e fuoco e János, che oltre ad essere uno dei buoni è anche l’occhio azzurro dello spettatore, per poco non rischia il linciaggio. Mentre la folla fa razzie arringata dal suo capo emarginato e freak, saranno i furbi e i malfattori a godere dello stato di agitazione generale, nonostante – o forse grazie – all’arrivo anche dell’esercito.

Nel film di Béla Tarr, le scene sono legate l’una all’altra e si passa di piano sequenza in piano sequenza. Spesso la telecamera inquadra i personaggi e le situazioni attraverso delineate figure geometriche in bianco e nero: il rettangolo bianco di una porta da cui viene luce rispetto a una stanza buia, una strada illuminata con un quadrato scuro al centro, ecc., in un gioco di contrasti fortissimi.
La musica anche vive di estremi, essendo o totalmente assente o totalmente preponderante, facendosi carico dell’emotività dell’azione. Questo equilibrio tra gli elementi crea dei momenti di altissima tensione emotiva e carichi di pathos. Lars Rudolph è l’attore ideale per interpretare l’orrore di chi assiste impotente allo sfacelo della dignità umana.

Proprio come il libro, anche il film risulta leggermente più lungo del dovuto; molto più del libro, che se ne salvava grazie ad una prosa molto vivace, il film risulta intriso non di malinconia ma di una vera e propria tristezza che diventa sconforto al rapido precipitare degli eventi. Ci sono diverse scene clou che non svelerò per evitare spoiler ed almeno in un paio c’è la balena, questo essere immobile e ormai morto da tempo, che in qualche modo c’entra più o meno simbolicamente con tutto lo scatafascio, sia che la si consideri come la causa sia che la si consideri la più evidente conseguenza. Solo János la vede e la ammira per quello che è: un meraviglioso essere enorme e strano che chissà perché Dio si è divertito a creare…

In più parti ho letto delle Armonie come di un capolavoro; non saprei dirvi. Di certo, posso dirvi che rappresenta un potente manifesto contro ogni dittatura, intesa come istupidimento e atrofizzazione del pensiero, come abbruttimento dell’uomo, come rinuncia all’intelletto; e d’altro canto, è anche uno stridulo grido in difesa della bellezza, della bontà della natura: un vero atto poetico, insomma.

Infine, una riflessione a latere: è strano vedere in bianco e nero ciò che ti sei immaginato a colori, pensavo mentre guardavo il film; il che ha scatenato in me un’altra riflessione, sulla potenza dei libri e delle storie: diamo per scontato quello che fanno i libri, ossia creare un intero universo di facce, colori, luoghi, oggetti, che prendono forma in modo totalmente naturale e vivido nelle nostre menti, come se fossero veri, come se li avessimo visti dal vivo, ed invece li abbiamo “solo” mutuati attraverso la carta.

E per chi è rimasto incuriosito dalla recensione ma ancora sta titubando, si faccia coraggio ed ecco: i dieci minuti che mi hanno convinto.

 


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