Insomma, il Marito e io abbiamo vinto la nostra stanchezza cronica, che ci attanaglia specie durante la settimana, e ci siamo avviati verso casa di Spicy con somma gioia. Anche perché devo dire che ultimamente non facciamo troppa vita sociale, quindi mi attirava anche l’idea di vestirmi, truccarmi, indossare il mio paletot, sfoggiare la mia borsa rossa nuova e frequentare e parlare con delle persone che avessero almeno la patente…
Dunque arriviamo, saluto gli amici di Spicy che intanto erano arrivati, bacio le mie Nipoti, e realizzo improvvisamente che oltre al dirigente israeliano e la moglie, che come dicevo sono a Roma già da un po’ e quindi parlano l’italiano, aspettavamo anche un “grande capo” dell’agenzia ebraica, israeliano anch’esso. Un cosiddetto “pezzo grosso”. Vabbè, penso tra me e me, come succede sempre in queste occasioni multilinguistiche, si parlerà un po’ tutti, in tutte le lingue, e ci sarà qualcuno che di volta in volta aiuterà chi non capisce. Ecco, a proposito di chi non capisce io sono proprio di coccio. Non capisco l’ebraico nonostante ben 13 anni di scuola ebraica; l’inglese è anche peggio: provo a concentrarmi e a seguire. Ma dopo due minuti il cervello parte per i cavoli suoi, mi distraggo ed è finita. Intendiamoci, non mi fa affatto piacere essere così, anzi mi sento limitatissima. In viaggio dipendo continuamente dal Marito che invece, per la famosa legge degli opposti, parla correntemente 7 lingue, e ha l’elasticità mentale per capire anche quelle che non sa. Insomma io sono un disastro. Fortuna che gli israeliani erano in minoranza. Certo, avremmo fatto le persone educate e avremmo chiacchierato con tutti: direttamente i più svegli, indirettamente quelli di coccio (come me!). Comunque, per non correre rischi di forzata socializzazione mi siedo dalla parte opposta del tavolo rispetto alla loro, rigorosamente vicino a Spicy e a una sua simpatica amica, quasi come me. Ma non appena accenno a una parola e a una risata con loro, vengo subito redarguita aspramente dal padrone di casa, nonché mattatore della serata, perché, affinché capissero tutti, la conversazione avrebbe dovuto svolgersi… in ebraico????? O al più… in inglese???? E io?
E io niente… con la coda tra le gambe, mi sono scusata (in verità pensando: “ma che è matto????”), e mi sono seduta rassegnata a trascorrere una seratina si, tra amici, ma per i cazzi fatti miei. E così è stato. Dal mio angolino dovevo stare bene attenta a non far emergere espressioni del viso che avrebbero potuto tradire i miei pensieri veri (primo tra tutti: “sarà una serata amena, ma almeno ci faccio un post!”). E infatti la vera fatica della serata è stata proprio questa: fare attenzione affinché attraverso la mimica non trasparissero le mie elucubrazioni. Già perché in realtà io pensavo a tutt’altro rispetto ai temi delle conversazioni (ammesso che li capissi) e a me capita spesso di assumere delle espressioni adeguate ai miei pensieri, ma del tutto incongrue rispetto alle circostanze.
E dovevo essere concentrata anche nella postura da assumere: stare troppo “sbracata” sulla sedia poteva essere scambiato (come era effettivamente) per mancanza di interesse. Allora mi sforzavo di stare con i gomiti appoggiati al tavolo e il busto ben proteso in avanti, proprio come se stessi in ascolto… Ma intanto nella mia mente i pensieri vagavano. Ogni tanto per fortuna qualcuno si complimentava con la cuoca e allora finalmente anche io avevo la possibilità di far sentire la mia vocina che si univa agli elogi degli altri commensali. Ma per il resto il vuoto pneumatico. Io che solitamente sono chiacchierona, brillante (anche se non dovrei essere io a dirlo) ho fatto per tutta la sera la parte della mummia. Alzarmi per dare una mano in cucina era un sollievo. Ogni tanto, quando era il Marito a intervenire, riuscivo a intuire quello che stava dicendo… Un po’ perché lo conosco, un po’ perché conosco il suo repertorio. E anche questo mi rimetteva in pace col mondo e mi sottraeva, anche se per poco, all’alienazione in cui ero costretta. Uscirne era impossibile, così ho aspettato pazientemente l’ora della narcolessia da cui è afflitto il Marito, augurandomi che gli si presentasse prima del solito. Invece ovviamente, mentre nelle occasioni durante le quali mi diverto comincia a calargli la palpebra verso le 22.00, l’altra sera si è deciso a propormi di andar via solo dopo le 23.30, insieme agli altri invitati. E così sfinita dal silenzio imposto e dalla mancanza di stimoli mi sono presa il mio paletot, la mia bellissima borsa rossa, e insieme al Marito mi sono avviata verso casa. E per compensare la lontananza coatta dalla mia lingua, durante tutto il tragitto abbiamo intonato in coro il nostro repertorio di stornelli romaneschi…
Ninetto regazzino der Tufelloooooooo…. le caccole dar naso se levavaaaaaaa…