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Le bambine che volevano essere dio

Creato il 17 ottobre 2012 da Wsf

Le bambine che volevano essere dio
Considerata una della più grandi voci del novecento e non solo, Sylvia Plath è ormai divenuta un’icona incontrastata della poesia mondiale. Impossibile voler scindere la poetica dalla sua biografia, che culmina con una fine tragica, disperata ma al tempo stesso organizzata e minuziosa.
Nasce a Boston, da genitori immigrati tedeschi e già all’età di otto anni perde il padre. Perdita che segnerà la sua esistenza per sempre, come anche il rapporto difficile con la madre Aurelia, figura autoritaria e introversa, che non riuscirà mai a capire la personalità complessa della figlia.
L’instabilità psicologica della Plath si manifesta fin dall’adolescenza, attraverso continui ricoveri ospedalieri, che le faranno provare la devastazione dell’elettroshock. Esperienze drammatiche che la renderanno una donna dalle tante personalità e maschere. La poesia della scrittrice è sicuramente potente, devastante e priva di banalità, studiata parola per parola, denudata da sovrastrutture, senza indugi o tentennamenti, che conduce direttamente dentro le sue ossessioni o forse sarebbe meglio dire le sue stratificazioni ma al contempo risulta monotematica, poco incline alla diversificazione.
In realtà la presunta grandezza letteraria di Sylvia Plath è dovuta soprattutto ai componimenti scritti negli ultimi tre anni della sua vita, anche se i suoi estimatori cercano in tutti i modi di rivalutare le opere dei primi anni della poetessa.

Le bambine che volevano essere dio

Nel 1957 conosce Anne Sexton, ad un corso di scrittura. Il loro diverrà un rapporto di amicizia basato non solo sull’amore per la letteratura ma soprattutto per la precarietà psicologica che le accompagna. La Sexton, nata da una famiglia agiata, scarsamente amata e da subito in continuo conflitto con il mondo, risulta però brillante e determinata, poco incline alle regole della società americana di metà novecento, che inserisce la donna in un contesto predeterminato, costruito sulla famiglia e le severe regole comuni. La Plath invece sembra anelare a tutto questo senza riuscirci. Timida, insicura sempre sull’orlo della depressione, in perenne lotta con se stessa, vuole quasi nascondersi dal mondo. Inevitabilmente questa dicotomia tra le poetesse è persistente anche per quel che riguarda le produzioni poetiche che meritano un’attenzione approfondita.
Lungi da me considerare la Plath una poetessa di secondo piano ma leggendo attentamente la Sexton non si denota una difformità così marcata tra le due scrittrici, come la critica e la solita pletora di fans internauti vorrebbero far passare. Anne è dotata di un talento fuori dall’ordinario. Tecnicamente, poco propensa a definire e definirsi uno stile, riesce come e quanto la Plath ad analizzare le ossessioni e le sue dipendenze: alcol, depressione e solitudine che la seguiranno per sempre, come il successo critico dei suoi libri. Stranamente tutta questa considerazione artistica che le venne riconosciuta in vita , improvvisamente sembra svanire nel tempo, lasciando spazio alla poetica della Plath e alla sua figura tragica, simbolo dell’impossibilità di conciliare genio e vita familiare. La poesia della Sexton è, mi si passi il termine, spudorata o come si definisce lei stessa “primitiva”, senza nessuno schermo intellettuale atto a filtrare le sue opere. Una scrittura tesa a l’identificazione di se come esistenza autonoma, che riporta alle teorie di Jung dell’individuazione. Come Edipo cerca ostinatamente l’origine del suo trauma e come Giocasta è consapevole della tragedia che può conseguirne (cit), ma non per questo smette di perseverare nel cercarsi, anzi in un certo senso continua ad analizzarsi anche se consapevole che il risultato finale sarà l’autodistruzione.

Ragionando obiettivamente credo sia giusto porsi delle domande.

Sylvia Plath è veramente quel mostro sacro che tanto si venera oppure la sua grandezza è stata amplificata, prima dalle sue vicende umane e poi dalla morte prematura per suicidio ?

Nell’immaginario popolare da sempre l’artista scomparso prematuramente ha goduto e gode di maggiore visibilità e investitura. Nel caso della Plath è vero che il suo suicidio ha consentito di elevare esponenzialmente il turbamento psicologico che assilla molti lettori e lettrici. Forse proprio quell’immedesimarsi o meglio camuffarsi da poeti pseudo-maledetti, fa si che la scrittrice americana sia considerata figura imprescindibile nel proprio bagaglio letterario. Il più delle volte, si venera la sua poesia senza sforzarsi di capire l’effettivo valore della scrittura, non si copia solo il senso poetico ma anche e soprattutto l’uso dell’immagine metaforica. Di solito l’imitatore che forse sarebbe meglio definire IMITATRICE di Sylvia Plath la si trova nei meandri dei siti letterari, alla voce introspezione, come se ogni essere vivente definitoSI poeta, infarcendo i suoi scritti con atmosfere cupe e termini tetri, possa avanzare il minimo accostamento alla poetessa. E così si formano schiere di “aspiranti suicide”, instabili mentalmente per induzione, che cercano di darsi un tono dark e misterioso ma che, semmai avessero il coraggio di infilare la testa in un forno, statene sicuri al massimo sarebbe quello della casa di Barbie.
Sono altresì certo che queste stesse poetastre del web non avrebbero letto nemmeno una riga della Plath se la sua scrittura non fosse direttamente legata in modo così intimista alle vicende della biografia. E’ vero che la scrittrice riesce a coinvolgere in modo morboso ma troppe volte è stata travisata e manipolata a proprio piacimento.
Ritenere Sylvia Plath una buona poeta non è delitto di lesa maestà. Da parte mia sarebbe esercizio di snobismo a cui non aspiro. Porsi delle riflessioni sulla sua effettiva grandezza è lecito, come altrettanto lecito è ritenerla per niente superiore a molti poeti del novecento compresa la stessa Anne Sexton.
Non credo sia giusto stilare classifiche di merito tra “grandi”, queste di solito sono incanalate da fattori esterni che poco hanno a che fare con l’arte, bisognerebbe evitare i guru letterari, i media, le associazioni culturali (o per meglio dire a scopo di lucro) che fanno a gara ad elevarsi padrini di questo o quell’altro artista, tralasciandone altri che meriterebbero sicuramente una conoscenza più approfondita.

In conclusione spero che questo mio articolo possa rendere alla Sexton e a tutti quegli artisti dimenticati il giusto riconoscimento. La poesia come tutte le forme d’arte non può seguire la moda del momento e neppure essere confinata nei limiti del gusto personale ma anzi ha bisogno di curiosità e soprattutto consapevolezza per sviluppare un vero senso critico senza scadere nel qualunquismo sciatto e nell’apatia.


Filed under: poesia, Prospettive, scritture, visioni letterarie, Words Social Forum Tagged: Anne Sexton, Critica Impura, poesia, scritture, Sylvia Plath, visioni, WSF

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