Magazine Cultura
Ora la questione è complessa e in via di definizione. Gironi dice giustamente che la distribuzione italiana dovrebbe giocare d'anticipo e abbracciare fin da ora la rivoluzione in corso, nonostante l'età avanzata degli spettatori italiani. Bernocchi, invece, riportando un (condivisibile) volere collettivo dei consumatori di film e serie tv in rete, auspica una distribuzione italiana al passo con quella americana e con le uscite festivaliere. Una finestra aperta sull'altro mondo, insomma, non una sua replica in differita, come succede se uno sa usare torrent e sa come agganciare i sottotitoli ai file video. Tutto vero e condivisibile. Eppure, nel secondo caso, tutto molto parziale.
Perché il problema sta nel dare per scontata una cosa: e cioè che il mercato, italiano e in generale anche europeo, debba per forza di cose essere ricalcato su quello americano. Con medesimi tempi e prodotti, come se la subalternità fosse l'unica certezza in quanto provincia dell'impero. Come se produrre, o scegliere, o creare, o rischiare, fosse un compito affidato ad altri, ché tanto le cose cha facciamo noi non se le cagherebbe comunque nessuno.
Se ci pensate bene, è così che funziona su internet: le battaglie si fanno sempre nel nome dei vincitori. Il cinema che tutti vorrebbero vedere, è quello che tutti prima o poi potranno vedere. Perché le battaglie non si fanno per film che quasi certamente non vedranno mai la sala? Perché l'indignazione per i ritardi di Prometheus, dell'ultimo Batman di Nolan, del film in cui Fassbender era già figo e in pochi lo sapevano, e non invece per Frammartino, Loznitsa, Pietro Marcello, Lacuesta, l'ultimo Carax, Lanthimos, Assayas e chi altro vi pare? La maggior parte dei blog di cinema parla quasi esclusivamente di film americani, di roba grossa e fantasy come Prometheus o dei film con i supereroi, in fondo siamo tutti figli di Guerre stellari, oppure di robetta indie che vale solo perché è passata al Sundance (vedi il caso recente di quella gran palla di Another Earth, vedi come parla di cinema un giornale per altri versi esemplare come Il post). Al massimo, in ritardo di mille anni sulle mode culturali, si concede diritto di parola sul cinema commerciale orientale.
Insomma, liberi sì, ma solo di vedere quello che già si conosce. Liberi di scoprire, scegliere, provare, stupirsi, un po' meno. E mica per obbligo. No, no: per scelta, per superficialità. Troppo sbattimento, troppo alto il rischio di incappare in film non omologati alla ficaggine corrente. Vuoi mettere invece il piacere di dire a tutti che il pop è filosofia, che l'action movie equivale a Derrida?
Va bene quindi usare tutti i mezzi offerti dalla tecnologia per stare al passo con la produzione e la distribuzione di cultura, ci mancherebbe. Ma se poi tutto quello che si fa è seguire la scia o arrivare prima degli altri, per poter dire io l'ho già visto scaricato oppure quest'estate quand'ero in vacanza a Biarritz, allora tutto quello che si fa è consumare cultura per affermare uno status di spettatore. Ed è questo che mi fa incazzare, non che Prometheus lo vedrò scaricato tra due mesi e non, come vorrei, in sala.
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