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Con la trasposizione cinematografica de "Le Belve" il regista statunitense pensa soltanto a voler divertire una sola persona: sé stesso, e se questo suo divertirsi dovesse trovare o meno un duplicato tra i gusti del pubblico è considerato da lui esclusivamente come un effetto collaterale del gioco, poiché l'egoismo del piacere è così invitante a tal punto da non poter essere ridimensionato a favore del godimento di vari sconosciuti.
Il romanzo di Don Winslow si trasforma per Stone allora in una sorta di provocazione personale sui gangster movie: a una prima occhiata somiglia alla classica storia di boss, droga e potere ma ad un'altra appena più attenta diventa speculare a una una gabbia di vetro in cui dei poveri animali imprigionati all'interno vengono costretti a soffrire la loro condizione senza possibilità di rendersene veramente conto. Gli animali in questione sono ovviamente i selvaggi, le belve, i protagonisti del film in guerra per il dominio sul territorio, convinti ognuno di poter sovrastare l'armata dell'altro e totalmente ignari di essere in realtà nella stessa posizione di formiche nelle mani di Dio onnipotente.
Prima di diventare quasi una commedia feroce, "Le Belve" lesina e inganna, nasconde le sue intenzioni a lungo, e solo a metà strada finalmente si smaschera mostrando in pieno il volto ridicolo della malavita a cui stava mirando, costruendo un epilogo ironico e in fortissima controtendenza con la natura che avrebbe dovuto impersonare se avesse mantenuto fino in fondo le sue premesse. Probabilmente è proprio questo il motivo che rende la pellicola la migliore di Oliver Stone da molti anni a questa parte, perché è spudoratamente menefreghista verso tutto e verso tutti e si prende gioco dei suoi protagonisti come anche dei suoi spettatori.
Eppure Stone non è diventato di pietra di nome e di fatto, un cuore ce l'ha eccome e, nonostante il disinteresse verso il prossimo che sembra essere alla base del suo ultimo progetto, non riesce a non affezionarsi al torbido triangolo che coinvolge il bravissimo Aaron Johnson, il suo migliore amico Taylor Kitsch e la bella Blake Lively. La loro storia d'amore evidentemente appassiona più di ogni altra cosa al regista, e la decisione di non sprecarla del tutto e di regalargli una vita lunga né è la conferma.
Allo stesso modo di un selvaggio allora, imperturbabile e privo di qualunque regola, Oliver Stone realizza con “Le Belve” (“Savages” in originale) una pellicola assai controversa. Un prodotto oltremodo originale, apprezzabile o detestabile a seconda dei gusti, capace di infastidire, di lasciare perplessi o, al massimo, con un curioso ghigno sulla faccia.
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