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Le biglie, la neve e mio fratello

Creato il 06 dicembre 2011 da Pinky06

- Dove vai?

Paul si volta e  mi fa segno di star zitto. Poi abbozza un seguimi, con il   braccio.

E’ tutto il giorno che si comporta in maniera strana. Io l’ho spiato senza farmi accorgere. Scrive strani biglietti che nasconde tra  i fogli di un giornale, poi  sale furtivo le scale e li appoggia contro il vetro.  Li alterna con una torcia che accende e spegne a intermittenza,  tra un messaggio  e l’altro solleva il binocolo di papà e scruta  fuori dalla finestra.

Nevica da tre giorni. La neve ha superato il livello delle finestre del primo piano.  La città è diventata un lungo reticolo di  gallerie che si incrociano e a volte emergono in superficie. Insomma un enorme pista per le biglie che noi, al mare, d’estate, ci sogniamo.

Dicono che generale inverno se ne sta in una grotta nel parco,  vicino al laghetto dove si spingono i cigni, quando la signorina  primavera giunge in città. Lì sembra che il freddo sia arrivato prima. Già a settembre gli uccelli erano partiti tutti. Senza neanche salutare, senza un tentennamento o un dubbio, il loro sembrava un viaggio di sola andata, in cielo erano una macchia che si muoveva veloce e a tratti nascondeva il sole. Si era pensato all’inquinamento, al clima pazzo, tanto torneranno. Poi era  toccato ai pesci. Avevano iniziato a risalire le tubature, una mattina c’eravamo svegliati sentendoli  bussare al lavandino. Papà aveva svitato il sifone e due, intraprendenti, pesci rossi  avevano fatto capolino dal tubo. Noi li abbiamo adottati anche se mamma diceva che in casa non c’era posto. Anche le famiglie del vicinato hanno fatto come noi.

Il vecchio signor Grigs, ogni mattina, porta il suo cane a fare un giro al parco.  Quella mattina, quando si era avvicinato al  laghetto, un urlo gli era affiorato in  gola, aveva visto migliaia di pesci con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, protesi verso la superficie, sembravano ibernati.  Grigs si era diretto verso il bosco, aveva preso un bastone ed era corso a batterlo sul ghiaccio.  Inutilmente. Non lo aveva neppure scalfito e i pesci avevano continuato a rimanere prigionieri. I giardinieri del parco avevano provato a intervenire ma senza risultato.  C’era chi aveva proposto di usare getti di acqua bollente ma il veterinario ha detto che si rischiava di raccogliere pesci bolliti. Così non si è più fatto niente.

La settimana seguente, un lunedì mattina, gelido e privo di spiragli, aveva iniziato a nevicare. La prima neve di stagione, per noi bambini una festa non autorizzata.  Usciti di scuola la neve ci lambiva le caviglie, giocammo a lanciarci palle di  neve fino a casa. Poi il pomeriggio, con una lunga opera di convincimento eravamo riusciti a strappare a nostra madre il permesso di scendere in cortile. Ci divertimmo molto quel giorno. L’ultimo nel quale  il mondo sembrava muoversi a tempo di musica. La mattina seguente la neve arrivava a coprire la porta. Il preside aveva fatto un giro di telefonate decretando la chiusura della scuola.  La neve aveva continuato a cadere  per altri tre giorni  poi aveva smesso. Si era alzato improvviso un vento gelido che aveva ridisegnato la città. Come un architetto un po’ estroso, come il vento del deserto, si era caricato sulle spalle cumuli di neve e li aveva spostati da un lato all’altro delle strade, ammucchiati nei parchi, sospinti verso i muri delle case. 

La pace era durata lo spazio di un mattino, nel  quale la gente era uscita di casa e aveva disegnato le gallerie che guardo affascinato dalle finestre del secondo piano.  Poi aveva ripreso a nevicare. Oggi è il terzo giorno. Paul mi ha detto che dobbiamo fare qualcosa, si annoia a stare in casa. Ha escogitato un modo per comunicare con Bill che abita dall’altro lato della strada. Dice che  sono segnali Morse. Punti e linee che disegnano parole. Lui e Bill si sono dati appuntamento nel parco. Vado anche io.

-Dove ho messo i guanti?


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