Se siete di quelli che non bevono mai un bianco che non sia d’annata avete tutta la mia compassione, e mi spiace per voi che vi perdete l’occasione di scoprire come il tempo possa scolpire alcuni bianchi (certo non tutti!) plasmandoli in maniera magistrale a livello di vero godimento per il bevitore.
Certo, è facile portare esempi celebri, dai migliori Grand Cru di Borgogna a Montrachet e dintorni ai Riesling della Mosella, ma pure in terre italiche ci sappiamo difendere con gli esempi dei vari Verdicchio, Fiano, Greco, o del mitico Trebbiano di Valentini.
Ma forse vi risulterà più stupefacente, almeno quanto lo è stato per me, incappare in un vino bianco dalla Romagna così carico di fascino e bellezza.
Sono con Emilio Placci nel suo regno, Il Pratello, cantina e agriturismo gestiti con la moglie nelle colline sopra Modigliana, sul cammino di Assisi, e a poca strada dal passo del Monte Trebbio, dove si erge il Monumento al Ciclista. Emilio ci porta in visita alle vigne, gestite in conduzione biologica, con impianti risalenti al ’95 e al ’97, poi nella cantina, e qui mi pare di tornare in Borgogna, in un antro buio e fascinoso, dove si assiepano le barrique, e si vive quell’atmosfera magica e vera che parla di vino, con l’aria fresca e umida e l’odore delle muffe che attaccano le pareti di pietra, mentre un soffitto di antiche travi in legno copre l’antro e fa da base ai pavimenti della casa.Tornati all’aria aperta Emilio ci porta in magazzino e pesca qualche campione da assaggiare insieme, e tra questi un Le Campore 2002. Non insisto troppo a raccontare che è il risultato di uve Chardonnay e Sauvignon (le vigne sono quelle della foto), vinificate con pressa verticale e fermentate in acciaio, quindi affinate in legno, non saprei nemmeno per quanto, perché Emilio, come altri grandi del vino, crede nel tempo come un grande alleato, un lavoratore instancabile cui lasciare i vini perché trovino un equilibrio, ascoltandoli e cercando di capire quando siano pronti. Una filosofia poco interventista, persino nell’uso di solforosa, che è estremamente limitato, attestandosi fra 30 e 50 mg sul bianco, e sotto i 40 per i rossi.
Quindi non si può che restare allibiti vedendo il colore de Le Campore 2002 nel calice, perché brilla di oro screziato di verde, e come vi insegneranno a qualsiasi corso per sommelier, degustatori o bevitori è sinonimo quasi certo di una vitalità ancora giovanile del vino. Mettere il naso nel calice apre una miriade di ricordi, ognuno che emerge con eleganza andando a collocarsi come un tassello in un mosaico complesso e multicolore. Apre con un ricordo erbaceo fine, e note di lievito, di pasticceria con crema al limone, quindi anacardi e sfumature di nocciole. Sta nel calice e si apre ancora mentre parliamo. Questo vino ci fa compagnia regalando ad ogni olfazione nuove sensazioni, dal nocciolo di oliva alla cenere di camino, per virare su creme brulè e metallo scaldato, e sorprendentemente tornare poi con sbuffi di miele di tiglio e fiori bianchi. Tante promesse all’occhio e al naso ma al palato? Il sorso è di quelli memorabili, del tipo che ti chiedi “perché non l’ho scoperto prima? e perché non ne ho una cassa in cantina?”. E’ morbido e rotondo, suadente nell’avvolgere il palato, equilibrato e spinto da un nervo di freschezza ancora saldissimo che regala slancio e potenza a questa materia ricca e carnosa, che lascia in bocca pesca gialla matura e limone, frutta secca e miele, con grande pulizia di bocca, distendendosi su un finale saporito quasi da pietra focaia. Borgogna? Loira? No, per una volta possiamo affermare con gusto, Romagna![e viva l’uso di vitigni internazionali quando sposano un territorio in maniera così bella!]
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