Massimo Volume – Fausto from ZimmerFrei on Vimeo.
Se l’inverno o l’autunno, con i loro freddi primordiali, dovessero avere una colonna sonora adeguata, consiglierei l’ascolto dei Massimo Volume. Allo stesso modo per le giornate d’estate e di primavera troppo calde ma prive di sole.
Chissà chi di voi ne avrà apprezzato almeno una nota, qualche parola. Forse ancora in pochi. Questa pregevole band bolognese ha partorito nello scorso ottobre, dopo 11 anni, tra scioglimenti e progetti paralleli, finalmente un nuovo lavoro. Sono nuove storie, che commuovono per l’ispirazione ritrovata (perché l’avevano persa?), per la forza adulta e letteraria di una vorace penna, quella di Emidio Clementi, parole, basso, e voce di racconti, che diventano canzoni, che poi si trasformano in cortometraggi, che diventano fotografie e poi di nuovo parole.
Si, hai capito bene. Sono canzoni parlate. Parole che impari a memoria come fossero semplici canzoni. Egle Sommacal, Vittoria Burattini, Stefano Pilia, infarciscono col basso pulsante di Emidio, le atmosfere tese, nervose, distorte o placate adatte al quotidiano urbano dei giorni nostri.
Chi sa di cosa sto parlando, avrà (spero) amato la poesia di “Lungo i Bordi” (album del ‘95), robe che mai si erano sentite in Italia fino a quel momento, recuperate poi, con diversa fisionomia, dagli Offlaga Disco Pax negli anni 2000.
E’ sempre stata una loro caratteristica, rivolgersi a personaggi problematici, raffigurati nella loro ambigua intimità quotidiana. Ritrovi di nuovo tutto questo, oggi, tra ragazze che ti scannano d’amore e che poi vanno, tra uomini appena fuori dalla clinica ed altri «sospesi tra il corpo e la scena». Ma fai caso pure ad una voce collettiva, quel «noi» che appare in “Robert Lowell”, “Coney Island”, “Le nostre ore contate”, come se a parlare fossero tutti i componenti del gruppo, davanti ad un ritorno che nessuno più si aspettava, davanti al tempo che passa e poco importa quando si decide di andare avanti. Basta mettere un po’ di vissuti personali e chissà che non ritrovi la tua storia in queste Cattive Abitudini, caro lettore, tra amici, tra consunti amori; quel «noi» e quei personaggi siete «voi» di ogni giorno. Col giusto cinismo condiscono un presente che si fa dispettoso per chi non merita, e con le unghie e con i denti ci si permette di andare avanti, contro il tempo.
Poi c’è il rapporto con la scena.
Lo spettacolo al quale sono costretti gli artisti, alle comparsate in tv per farsi pubblicità, vendendosi l’anima al commercio, al rapporto sempre più stretto col pubblico, vedi Facebook e come sia più semplice contattare, fotografare, beccare un personaggio più o meno noto. Nell’era dell’immagine non è possibile farsi trasparenti e vivere nel silenzio e all’oscuro della luce dei riflettori.
«aggrappati a un’immagine
condannata a descriverci»
(Le nostre ore contate.)
Ne “la bellezza violata”, sublime è la natura, o il ricordo di questa, prima dell’urbanizzazione, addirittura di se stessa. La nostra immagine è cambiata assieme alla trasformazione dei nostri luoghi vitali, prima paesi e poi pseudo metropoli; dolce è il pensiero rivolto ad una persona che ora non c’è più, come se fosse uscita per un po’ dalla tua casa, al posto di definirla ineducatamente morta, in “Vorrei ogni tanto averti qui». Poi c’è la spledida ferocia di Litio.
Ma sopratutto ti ridesta l’omaggio a Fausto Rossi (Faust’o), il cantore alieno di cui avevo tempo fa scritto, che aveva prodotto il secondo album dei MV, e che ora si erge ad agitatore di angeli drogati. Consapevolezza del marcio intorno e sfrontatezza nell’affrontarlo. Necessario per sopravvivere.
Mi ricorda la figura di Emanuel Carnevali e quando Emidio cantava: «E c’è forza nelle tue parole, e c’è forza nelle tue parole».
Troppe emozioni.