Giuro stavolta mi sono impegnata. Perché in 27 anni, la preparazione è stata sempre più memorabile del viaggio stesso ( poche foto, ma più aneddoti con cui allietare le serate tra amici).
Ma stavolta non poteva essere così, stavolta dovevo essere organizzata fin nei minimi dettagli. Tra i miei compagni di viaggio quest'anno ci sono, tra gli altri, le due minuscole streghe e il mio Squinzio, che in pre-partenza si trasforma in un Furio di verdoniana memoria.
Quindi un mese prima ho iniziato a stilare liste di cosedafare e cosedaportare, ho spolverato le valigie con una settimana di anticipo, ho sistemato i vestiti con una precisione maniacale, di cui devo dire, vado molto fiera.
Era tutto pronto, e per la prima volta, non solo nella mia testa.
Due passeggini, una montagna di pannolini, ciucciotti disseminati in ogni tasca, iPad stracolmo di applicazioni per infanti curiosi, lungometraggi animati per ipnotizzare anche i più sfrenati minorenni. L'allegra compagnia era pronta per affrontare un Belgio indimenticabile.
Ma l'entropia era in agguato, pronta a disfare ogni nostro ordinato piano. I primi segni di caos si sono manifestati a 4 giorni dalla partenza, sotto forma di pustole sparse sulla schiena di Matilde, dal vago sapore di varicella. Lo zoster non si smentisce mai, maledetto. Dopo aver allertato una decina di medici e varie makeupartist (che avrebbero dovuto spargere chili di cerone sul volto delle nostre figlie in caso di esantema così evidente da essere sbattute fuori dall'aereo) come per magia le bolle sono scomparse. Poco male.
Ci siamo rituffati più fiduciosi che mai nella difficile arte dell'impacchettamento. 24 ore prima della partenza, avevamo tutti i bagagli pronti, persino i vestiti con cui saremmo partiti ben piegati sulla poltrona. L'ultima cosa che ci mancava da spuntare dalla temibile lista di cosedafare era "regali ai genitori". Eh sì perché per chi non lo sapesse (perché mai dovreste), i compleanni-onomastici di tutti i miei parenti si concentra nei primi 10 giorni di agosto. È ovviamente a me tocca sempre l'onore della ricerca del regalo perfetto. Quindi domenica 4 agosto, con un caldo che avrebbe spossato anche Lawrence d'Arabia, stipati in una atos rosso pomodoro, con prole al seguito, ci siamo avventurati nella ricerca. Inutile dire che tutto quello a cui avevo pensato era introvabile/giàterminato/inesistente. Dopo una saccheggiamento selvaggio tra gli scaffali della Feltrinelli, abbiamo cercato qualcosa che somigliasse anche solo lontanamente ad una profumeria e lo abbiamo trovato a 50 chilometri da casa.
Alle 14.30.
37 gradi, percepiti 43.
Nel centro commerciale con la densità demografica di Tokyo, occasionalmente quella di Portici il giorno di San Ciro. In diretta telefonica con mia sorella, strafatta di effluvi di eau de toilette, son riuscita a scegliere una palette decente per mia madre.
Ore 18. Nessuna refola di vento ad alleviare le allucinazione da ipotensione. Mia madre tuona:" E se andassimo da IKea?". Io accolgo la proposta con entusiasmo, Fabio tenta il suicidio. Anzi peggio si offre di far compagnia alle pupe. Se c'è una cosa che abbiamo in comune io e mia madre è la completa mancanza del senso del tempo e dello spazio. Ergo siamo uscite per comprare dei pirottini da muffìn ("impiegheremo non più di mezz'ora") e ci siamo ritirate con un tavolo bianco tondo per la mia cucina, legato al portellone del bagagliaio aperto della macchina di mia madre e mantenuto dalle nostre preghiere. A circa 10 ore dalla partenza, io, mia madre, mio padre e uno Squinzio idrofobo allentavamo bulloni, con la capa calata sulle sibilline istruzioni IKea.
È sempre un piacere ricevere una pioggia di bestemmie poco prima di metter piede su un aereo.
Che il wifi sia con noi. Amen.
(Vi aggiorno sul suolo belga.)