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Le colf a Hong Kong: schiavitù sotto contratto

Creato il 25 aprile 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online
Le colf a Hong Kong: schiavitù sotto contratto apr 25, 2014    Scritto da Adriana Bianco    Asia, Attualità, Mondo 0

Le colf a Hong Kong: schiavitù sotto contratto

La storia degli abusi subiti da Kartika Puspitasar dovrebbe essere un caso più unico che raro; invece, purtroppo, a Hong Kong sono molte le collaboratrici domestiche come lei che vengono maltrattate e i cui diritti non sono rispettati.

A Settembre 2013 Kartika, una signora Indonesiana di trenta anni, è finalmente tornata a essere una donna libera dopo aver vinto il processo contro la famiglia che l’ha tenuta in schiavitù per due anni. Era stata ripetutamente violentata sia fisicamente sia verbalmente; spesso era stata picchiata con una catena per la bici o lasciata legata a una sedia quando la famiglia se ne andava di casa. La storia di Kartika è un caso estremo, ma le condizioni delle collaboratrici domestiche a Hong Kong sono spesso ai limiti del rispetto dei diritti umani e i casi di abusi non sono rari.

Hong Kong conta poco più di sette milioni di abitanti e la città ospita quasi 320.000 collaboratici domestiche provenienti principalmente dall’Indonesia e dalle Filippine. Pur avendo leggi migliori per la tutela dei diritti dei lavoratori domestici rispetto ad altri paesi asiatici, le norme sono discriminatorie e possono facilitare abusi.
Una delle regole più discusse è l’obbligo, al quale sono soggette tutte le collaboratrici domestiche, di dover risiedere con la famiglia per cui lavorano. Questo significa che spesso sono in servizio 24/24, e a volte non è concesso loro nemmeno il giorno di riposo, che tradizionalmente è la Domenica. Il loro salario minimo è di HK$4010/mese (circa €380), significativamente meno rispetto al salario minimo degli altri cittadini, che ammonta a HK$12300/mese (circa €1150).

Con queste norme discriminatorie, Hong Kong ha in pratica creato una sotto classe di Serie B per le collaboratrici domestiche, alle quali non sono garantiti gli stessi diritti. Un esempio è che gli sia negata la possibilità di ottenere il diritto di cittadinanza dopo sette anni di permanenza a Hong Kong, come invece accade per tutti. Per legge invece, le colf devono trovare un nuovo impiego e rinnovare il permesso di soggiorno dopo due settimane dalla fine del loro contratto, altrimenti sono costrette a lasciare la città. Quest’obbligo persuade molte a tenersi il lavoro che hanno, indipendentemente dalle condizioni.

Il problema però si estende oltre il sistema giuridico di Hong Kong e gli abusi di alcuni datori di lavoro; la situazione è molto più complessa. Secondo Amnesty International, molte agenzie di collocamento sia a Hong Kong sia in Indonesia, sono ripetutamente coinvolte nel traffico di collaboratrici domestiche, usando metodi di coercizione come la confisca dei documenti o la manipolazione del debito d’iscrizione all’agenzia.

Creando condizioni lavorative che tengono queste donne legate ai loro debiti, e allo stesso tempo limitando la loro libertà di movimento e sottopagandole, i governi di Hong Kong, dell’Indonesia e degli altri paesi coinvolti costringono le collaboratrici domestiche a una forma di servitù sotto contratto.

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